È terribile lo stato in cui versa, nel Meister, l’arpista, tipico dell’uomo malinconico, ovvero depresso. Ripiegato su se stesso, considera esclusivamente il proprio io, che gli appare come un «insondabile abisso», e non vede nulla né davanti né dietro di sé, immerso in una «notte infinita» nella quale è eternamente solo. Nella sua devastazione non gli resta che un unico sentimento, quello della propria colpa, che però gli appare soltanto di spalle, come un fantasma che si allontana. Non c’è dimensione, né spaziale né temporale, non c’è parola che possa esprimere e descrivere quello stato «sempre uguale» (questa sensazione di ininterrotta, irreversibile continuità, che rende l’esistenza come sospesa, simile a una pena eterna, rende tutto più atroce e torturante).
È terribile riconoscersi nella condizione dell’arpista ovvero, in sostanza, di un uomo malato di mente. Tutte le certezze vengono minate dalle fondamenta. L’intero universo s’incrina. Il mio dramma è simile in tutto a quello dell’arpista; cambia soltanto il fantasma: non il senso di colpa, ma l’insensatezza. È l’insensatezza a schiacciarmi come un macigno.