I taccuini di Tarrou – 408

È emozionante leggere il carteggio tra Goethe e Schiller, è come penetrare direttamente, senza mediazioni, le menti e gli spiriti di questi due artisti straordinari, come insinuarsi nel loro legame e nelle loro vite, quasi nella loro quotidianità, così intimamente legata all’arte e al pensiero. Le riflessioni di Schiller sul Meister poi, sono davvero illuminanti, contribuiscono in modo decisivo a comprendere il significato più profondo di quest’opera monumentale (ma esiste forse un’opera di Goethe che non lo sia, monumentale?).

Schiller nota giustamente che il «valore» di Wilhelm «sta nel suo animo e non nei risultati, nelle sue aspirazioni e non nelle azioni», aggiungendo che proprio per questo motivo «la sua vita gli sembra vuota non appena deve renderne conto a un estraneo» (una sensazione terribile, che conosco troppo bene). È questo grandioso, inestimabile, rivoluzionario e critico valore che Wilhelm, alla fine del suo apprendistato, perde per sempre. La società lo costringe a spersonalizzarsi, a snaturarsi, a tradirsi, a sacrificare il proprio animo e le proprie aspirazioni in nome del risultato e dell’azione. Come tutti gli individui che non hanno la forza e il coraggio di sostenere la propria unicità, la propria diversità, la propria libertà, anche Wilhelm è vittima della società, che fa della repressione individuale la sua suprema legge. Certo, Wilhelm alla fine dell’opera manifesta un’evidente, profonda insofferenza verso l’autorità sociale, incarnata dall’abate, e la sua unione con Natalie rappresenta in un certo senso un’infrazione (non si dimentichi la differenza di ceto tra i due), ma questa unione non dipende dalla sua volontà, bensì dalla volontà di Therese, che pone il matrimonio di Wilhelm e Natalie quale conditio sine qua non del proprio matrimonio con Lothario (la società immaginava un epilogo diverso). Insomma, un lieto fine amaro, contraddittorio, come quello della Käthchen di Kleist. In entrambi i casi i personaggi vengono infine assorbiti dall’autorità e privati della loro luminosa e rivoluzionaria unicità.

Emancipatosi dalla società borghese, Wilhelm viene assorbito da un’altra società, quella aristocratica, che al centro della propria esistenza non pone il guadagno, ma la conservazione di sé. La sostanza non cambia: in entrambi i casi l’individuo è subordinato all’autorità.

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