Perderla è stato un colpo durissimo, che finalmente sono riuscito ad assorbire, ma che non credo supererò mai, non in queste condizioni almeno. La nostra separazione mi ha rivelato quanto Lei fosse diventata importante, ma che dico importante, quanto fosse diventata necessaria per me. Perderla è stato come perdere un organo vitale.
Se anche la nostra storia fosse stata soltanto un’illusione, come mi sono ripetuto spesso in questo ultimo anno, nel disperato tentativo di trovare almeno un simulacro di consolazione, resta il dolore, e il dolore è una delle poche cose autentiche nella vita di un uomo. Il dolore non mente mai.
Spesso, per tentare di allontanarla da me, rievoco le sue parole più dure e ingiuste, le parole del distacco, dell’abbandono, ma non serve a niente. Le sue parole più dolci tornano presto a riprendere il sopravvento e a riportarla vicino a me, al mio corpo, al mio spirito, al mio cuore. Ciò che ancora oggi mi addolora e amareggia di più, non è la fine, ma tutto ciò che è stato prima della fine, e che non sarà mai più. Ho capito finalmente la natura del mio dolore, e del dolore di ogni separazione: esso non è dovuto alla rottura, allo strappo, alla conclusione, ma a ciò che di bello, di positivo, di luminoso, di entusiasmante è stato e non sarà più. L’iniziale, stordente sofferenza causata dal trauma della fine e della delusione, lascia spazio, a lungo andare, a una sofferenza più matura, consapevole e profonda, che non lascia segni all’esterno, ma che dentro corrode tutto, giorno dopo giorno, come il mare corrode le coste: la sofferenza del rimpianto.