Sul Meister
Gli anni dell’apprendistato di Wilhelm Meister sono quanto di più lontano dalla realtà, dalla vita. Tutto nel romanzo di Goethe è pianificato e predisposto: non c’è spazio per l’iniziativa individuale, per la libertà e la volontà individuale. Sin dall’inizio Wilhelm è osservato, controllato, indirizzato, come in una sorta di terribile Truman Show. La rettorica trionfa sulla persuasione.
La personalità è infrazione e libertà, rottura, strappo, lacerazione, sofferenza, angoscia e distruzione, componenti che la società, qualunque società, di qualunque genere, deve necessariamente reprimere per poter esistere. Per questo motivo alla fine del Meister, perché di fatto il Meister si conclude con il settimo libro, la personalità di Wilhelm viene domata e imprigionata, sconfitta. La personalità corrode la società, il concetto stesso di società, dalle fondamenta, causandone il crollo.
Nel diverso modo di intendere e rappresentare il concetto di destino sta tutta la differenza tra Gli anni dell’apprendistato di Wilhelm Meister e Le affinità elettive, che non a caso s’impone come il più grande romanzo di Goethe, almeno secondo il modesto parere del sottoscritto. Nel Meister il destino è inteso come piano e disegno preordinato, come via tracciata da fantomatiche forze superiori e dalla quale è impossibile uscire, mentre nelle Affinità elettive assume il significato ben più umano di legame indissolubile, inesorabile come una legge naturale, al quale è impossibile sottrarsi. Nel Meister il destino è un surrogato della divina provvidenza, nelle Affinità elettive la massima e più estrema espressione dell’attrazione umana. Se nelle Affinità elettive è concesso almeno all’individuo di rivendicare e affermare la propria libertà individuale attraverso il suicidio, come fa Ottilia alla fine del romanzo lasciandosi morire di fame, nel Meister è preclusa anche questa possibilità, come dichiara Wilhelm:
«…e se non è concesso porre volontariamente fine ai propri tristi giorni…»
Nel Meister gli uomini sono come quelle marionette di cui Wilhelm in infanzia aveva subito tanto il fascino, che gli avevano fatto scoprire la sua vocazione artistica, teatrale, brutalmente repressa alla fine del suo apprendistato.
Se in Kleist la marionetta rappresenta la grazia, la massima espressione della grazia, e l’umanità libera dal peso, dal macigno della coscienza, in Goethe rappresenta l’umanità schiava della società.
La Società della Torre, che rappresenta il modello ideale di società repressiva, regolamentando l’errore, accogliendolo nel suo sistema educativo, formativo, alla fine del romanzo inizia e consacra Wilhelm alla mediocrità. Ciò che attende il protagonista del Meister è una grandiosa esistenza mediocre, da buon cittadino.