Ho consacrato la mia vita alla lotta all’incoscienza e alla povertà di spirito. Ma cosa significa avere una coscienza? Significa essere consapevoli dell’insensatezza della vita, del dolore come condizione necessaria dell’esistenza e del nostro destino mortale, dunque essere consapevoli della propria miseria, della propria insignificanza, della propria inutilità, della propria assurdità (è la morte a svuotare di senso la vita, ogni vita, sia essa umana, animale, vegetale) e accettarlo, aprendosi in questo modo la strada verso una dimensione esistenziale più autentica e, soprattutto, libera, libera dai pregiudizi, dai luoghi comuni, dalla disonestà, dall’ipocrisia, dalla crudeltà.
Ora, ammetto di aver perso, e aver perso malamente, ma in fondo ciò che conta non è l’esito della lotta, bensì la lotta stessa. È nella lotta che risiede l’essenza, non nella vittoria o nella sconfitta. Io troverò nella morte la pace, e solamente questo ha importanza per colui che non è uno dei tanti, ma il primo e l’ultimo, senza un passato e senza un futuro, per colui che non rimuove l’insensatezza e il dolore, ma ne sostiene il peso e lo sguardo terribili.