I taccuini di Tarrou – 1

Varrebbe la pena vivere, dunque necessariamente soffrire, ancora, ancora e ancora – perché il vuoto non protegge dal dolore -, per poter andare a Pietroburgo e visitare la casa e la tomba di Dostoevskij? Una domanda che mi faccio da diversi giorni e alla quale ancora non so dare una risposta, perché forse non c’è una risposta. Forse è errata la premessa, perché in nessun caso vale la pena vivere, vale la pena soffrire, e andare a Pietroburgo non sarebbe uno scopo, perché non può esserci scopo, ma una semplice conseguenza della sopravvivenza, e della sopravvivenza a determinate condizioni, decisamente compromettenti. Ecco, il problema, ancor più della vita in sé, che oramai non ha per me più alcuna importanza, riguarda le condizioni. Tradirsi, contraddirsi, compromettersi… è questo, è sempre stato questo il tasto dolente, sgradevole, offensivo, doloroso. Vivere come io voglio o non vivere affatto, come scrive Nietzsche nello Zarathustra. Finora mi è riuscito e ne sono fiero, ma per quanto tempo ancora mi sarà possibile resistere?

Precedente Soliloquio del dolore - Appendice - Nel vuoto. Ultima lettera a Lei Successivo I taccuini di Tarrou - 2