È insostenibile il mio sguardo, per chiunque abbia una vita appena soddisfacente, o anche solo una prospettiva, una speranza, una fede. È lo sguardo di chi domanda disperatamente aiuto, di chi implora disperatamente di essere salvato. È lo sguardo del mendicante e del prigioniero. Perché in fondo cos’altro sono se non un mendicante d’amore e un prigioniero della solitudine?
Non sono mai stato così solo, dunque così disperato, come in questo momento. Il mio buio non è mai stato così buio. Il mio deserto non è mai stato così deserto. Lei se n’è andata da tempo, ma il mio sentimento di Lei era sempre con me, mi accompagnava ovunque e in ogni momento della giornata. Dov’ero io era Lei. Ma ora che anche il mio sentimento di Lei è svanito, e senza che me ne rendessi conto, dentro di me e attorno a me è un vuoto mai visto prima, un vuoto inconcepibile, inesprimibile, che divora, un buio che acceca e un silenzio che assorda. Non c’è nessun altro oltre me. Sono io il tutto, sono io il niente.
Come scrive Dostoevskij alla moglie Anna in una delle sue lettere più cupe e disperate, «non è più una solitudine, ma un assoluto silenzio. Non so più parlare, parlo con me stesso come un pazzo».