Ho detestato Notre-Dame de Paris, ho amato invece I miserabili, l’unico libro che mi abbia commosso fino alle lacrime (quando, se non ricordo male, la suora non rivela ai poliziotti la presenza di Jean Valjean nella stanza – a proposito, Jean Valjean sta a Javert come Moby Dick sta ad Achab), ma L’ultimo giorno di un condannato a morte è un’altra cosa. Nell’Ultimo giorno è tutto spietatamente essenziale, non c’è una sola parola di troppo, una sola frase superflua, evitabile, sulla quale poter sorvolare. Ogni singolo capitolo è un chiodo piantato nella bara del condannato. In poche pagine Hugo racchiude ciò che Dostoevskij definisce, nella Prefazione ai Fratelli Karamazov, il «midollo dell’universale».