A volte ho la tentazione di tornare da Cristina, di passare almeno un’altra ora in sua compagnia, di godere ancora una volta della sua presenza, della sua bellezza. Poi però mi ricordo di ciò che non c’è mai stato durante i nostri incontri e che mai potrebbe esserci, non per mia volontà naturalmente: la tenerezza e il calore di un rapporto autentico, disinteressato, desiderato da entrambi; i baci, senza i quali un rapporto carnale è un rapporto mutilato, mediocre, freddo, distaccato. Ricordo questo vuoto incolmabile, insuperabile, questa distanza che in ogni incontro ho tentato invano di annullare, ricorrendo a tutte le armi a mia disposizione, e la tentazione svanisce. Per acquisire credibilità agli occhi di Cristina, per conquistare la sua fiducia, dovrei forse recarmi da lei senza chiedere ciò che le chiedono tutti gli altri uomini, un semplice rapporto sessuale, ma la sua sola vicinanza, la sua sola compagnia. Potrei farlo, eppure qualcosa mi frena. Che cosa esattamente? La paura – credo – che neppure un simile contegno, una simile manifestazione di disinteresse fisico servirebbe a qualcosa. Cristina, purtroppo, non è una cura, non può e non vuole essere una cura. Il problema è che per me nessun essere umano può esserlo, se non lo è stata neppure Lei, l’unica che abbia compreso, accettato e persino apprezzato la mia natura, la mia terribile unicità. Se neppure Lei mi ha salvato, vuol dire che non c’è salvezza per me in questo mondo, e che la mia vita non può essere altro che un’agonia, una dolorosa attesa della fine, della liberazione.