I taccuini di Tarrou – 246

Oggi è Venerdì santo. Ricordo quando i miei genitori, da bambino, mi portavano a vedere la Via Crucis. Mi piaceva assistere a quella rappresentazione, che osservavo da un punto di vista privilegiato, seduto sulle spalle di mio padre. Mi sembrava di sognare, di trovarmi in un altro luogo, in un’altra epoca, lontanissima e irraggiungibile, tranne che in quelle due ore. Il dramma di Cristo mi inquietava, certo, ma non più di tanto. Perché in fondo sapevo che quell’uomo legato alla croce non era il vero Cristo, che la lancia infilata nel suo costato era un trucco, che non moriva davvero, ma chiudeva soltanto gli occhi ecc.

È curioso, le rappresentazioni teatrali e i film non mi hanno mai coinvolto e sconvolto come un libro. A teatro e al cinema vedo solo uno spettacolo, una finzione, mentre nei libri trovo la vita e la realtà. Forse perché in essi non c’è mediazione e il dramma sgorga diretto e impetuoso senza che debba esserci qualcuno a rappresentarlo. L’Amleto mi emoziona molto di più leggendolo che osservandolo. La lettura mi permette di misurarmi con il testo, di rapportarmi e dialogare con lui, mentre l’interpretazione la subisco impotente. Mentre il libro costringe il lettore a un coinvolgimento attivo, partecipe, critico, il teatro e il cinema lo rendono un soggetto passivo, immobile, muto, incapace di pensare, di mescolare al testo le proprie riflessioni, di contaminarlo con esse. Sarebbe bello assistere a una rappresentazione teatrale in cui allo spettatore fosse concesso di intervenire, di dialogare con i personaggi, con i personaggi e non con gli attori, con Amleto in persona e non con l’uomo che lo interpreta.

Precedente I taccuini di Tarrou - 245 Successivo I taccuini di Tarrou - 247