Non ho mai saputo dire le parole giuste, le parole alle quali tenevo di più, al momento giusto. Le parole giuste mi vengono sempre dopo, quando sono solo e non ho più nessuno con cui comunicare; nascono postume, come sono nato postumo io stesso, in ritardo di almeno un secolo, forse anche di più.
Ho dimenticato di dire a Cristina che, ancor più del sesso, per me sono importanti gli intervalli tra un rapporto e l’altro, quando, sdraiati uno di fronte l’altro, nudi e felici di esserlo, perfettamente a nostro agio con noi stessi, la sigaretta tra le labbra, parliamo delle nostre vite, dei nostri problemi, dei suoi sogni. Perché me ne sono dimenticato? Perché quando questo pensiero mi è venuto in mente stavo rivestendomi per andare via, e non volevo andare via, e dover andare via contro la mia volontà mi amareggiava e rattristava molto. Ecco, l’amarezza e la tristezza mi ammutoliscono, precipito in essi e non riesco più a pensare ad altro.
Sento ancora le sue dita che affondano nella mia carne, con forza, in profondità, come se volesse entrarmi dentro, come se volesse fondersi con me in un’unica cosa e, forse, scomparire. Inizio a essere geloso degli altri clienti e non va bene, è un brutto segno, anche perché non è in mio potere salvarla. Posso solamente passare con lei più tempo possibile, per evitare che siano altri a farlo, proteggendola così dai rischi che sono sempre dietro l’angolo in questo maledetto mestiere.
Le ho detto che ciò che più mi piace di lei sono gli occhi, occhi profondi, luminosi, di un colore comune, ma di un’espressività e di una bellezza rare.
– Li vuoi? – mi ha domandato scherzando.
– Magari! – ho risposto.
– Così vedresti ciò che vedo io, – ha detto sorridendo.
Non le ho chiesto cosa vede con i suoi occhi, purtroppo, e sempre perché stavo per andare via e l’amarezza e la tristezza mi avevano già catturato, irretito. Ecco, tornare da Cristina una quarta volta per sapere cosa vede con i suoi occhi, solamente per questo, sarebbe un buon motivo.
Io so cosa vedo con i miei occhi dalle palpebre recise (se Cristina me lo chiedesse andrei in grande difficoltà): vedo dolore, distruzione, disperazione, malvagità, miseria, morte e nient’altro, nient’altro… Come potrei descriverle un tale incubo?