I taccuini di Tarrou – 384

Nella reazione violenta di Wilhelm Meister al presunto tradimento di Mariane, ho ritrovato me stesso intero. Soprattutto quando il personaggio di Goethe si scaglia contro se stesso, contro la propria vocazione artistica, rinnegandola, denigrandola e accrescendo così al massimo grado la sua «muta disperazione». Distrugge le proprie attitudini e le proprie qualità Wilhelm, svilisce i propri lavori e i propri sentimenti, giudicandoli sciocchi e comuni, banali, ordinari, indegni, assecondando con ferocia quell’impulso di autopunizione, di autodenigrazione, di automortificazione tristemente noto a tutti i falliti.

Un autentico trionfo del mio fallimento, dunque della mia vita, perché nel mio caso fallimento e vita sono la stessa cosa, sarebbe distruggere tutti i miei testi prima di scomparire. Sarebbe terribile e, soprattutto, stupido, proprio come la mia esistenza. Distruggere i miei testi in vita, come fa Wilhelm, che brucia anche tutte le reliquie di Mariane, non avrebbe alcun senso, non servirebbe a niente. Lo so bene. Anch’io ho pensato, e più d’una volta, di bruciare tutti i miei fallimentari tentativi letterari e tutti i ricordi di Lei, le sue lettere, i suoi libri, le sue fotografie, ma il fuoco non brucerebbe con la carta il dolore, la delusione, il rimpianto e tutto quel corredo di sentimenti negativi legati alla scrittura e all’amore. La distruzione degli oggetti, delle prove materiali del nostro fallimento e del nostro dolore, avrebbe senso soltanto se ad essa seguisse immediatamente la nostra, di distruzione, poiché soltanto la morte ci libera dalle sofferenze, soltanto la morte cancella per sempre ciò che è stato. Bruciare restando in vita è un palliativo e dunque, come tutti i palliativi, inutile e sciocco. Dopo qualche ora di furore e sollievo, si torna nell’incubo.

Tornando al Meister, Wilhelm sopravvive al proprio dolore grazie alla fede nel destino. Fede di cui è completamente sprovvisto Werther, e di cui sono sprovvisto io, che resisto soltanto per pietà dei miei genitori, e di mia madre soprattutto.

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