I taccuini di Tarrou – 331

All’inizio della Caduta, dopo aver ridotto l’uomo contemporaneo a lettura di giornali e fornicazione – una definizione che oggi appare persino lusinghiera -, Clamence-Camus paragona il sistema sociale borghese ai piranha: si spolpa e si viene spolpati, carnefici e vittime a un tempo.

Ecco, in fin dei conti, è sempre questo che ho rifiutato, di spolpare ed essere spolpato, di consegnare la mia vita, e con essa dunque la mia esistenza, alla società e alle sue autorità, preservando fino all’estremo sacrificio, all’esilio, all’esclusione, all’emarginazione la mia libertà, l’unica cosa davvero sacra per un uomo, più della vita stessa, perché senza libertà non c’è vita, ma soltanto un simulacro di vita coincidente, di fatto, con la morte (la vita di Ivan Il’ič è la morte di Ivan Il’ič, e ogni uomo inserito nel contesto sociale borghese, assorbito da questo contesto, spersonalizzante e piragnesco, è un Ivan Il’ič). Peccato che non ci sia più nessuno a ricordarglielo, a recidergli le palpebre e gridargli dritto in faccia la verità. Ma in fondo a chi interessa, a chi conviene – poiché tutto si basa sul principio di convenienza – la libertà dell’uomo? A nessuno, neppure all’uomo stesso. Come dichiara il Grande Inquisitore,

«Non vi è affanno più tormentoso e continuo per l’uomo, rimasto libero, che il ricercare al più presto un essere di fronte al quale prostrarsi».

Forse sono tra i pochi sopravvissuti in un mondo di cadaveri.

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