I taccuini di Tarrou – 320

Come scrive Dostoevskij alla moglie Anna nella lettera del 13 agosto 1879, una delle sue lettere più cupe e disperate, pervasa dal sentimento della fine, la mia non è più solitudine, ma silenzio, un «assoluto silenzio».

Se si escludono i libri, sono la mia unica compagnia. Parlo a me stesso, scrivo per me stesso, come se fossi l’umanità intera, dunque come un pazzo. In fondo è sempre stato così, ma in passato avevo almeno la speranza di poter parlare a qualcuno, ora non più ed è come se fossi rinchiuso in una cella d’isolamento, nella quale tutto il mio sapere non serve a niente, neppure ad uccidermi, ed è forse questa la cosa peggiore.

Non c’è pace, non potrà mai esserci pace, ma soltanto rassegnazione, e la rassegnazione, forse, non basta a curare l’angoscia.

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