I taccuini di Tarrou – 127

Ho poche certezze, tutte negative: la vita non ha senso, il dolore è una condizione necessaria dell’esistenza dunque il non-essere è meglio dell’essere e via dicendo. La mia sapienza è tutta qui, in un nichilismo cupo, disperato e disperante. Ma perché mi è toccata in sorte una tale sapienza negativa? Credo, come scrive l’uomo del sottosuolo, che la risposta sia da ricercare nella sensibilità, nella mia sensibilità straordinariamente, eccessivamente sviluppata, che rende ogni ferita superficiale una ferita mortale, la quale, approfondita, aggravata dai continui fallimenti (tutta la mia vita non è che un lungo, ininterrotto e interminabile fallimento), mi ha sempre costretto a eclissarmi, a dismorzarmi, a ripiegarmi innaturalmente su me stesso. Tutta la mia vita è una fuga, impossibile forse, da un mondo che non mi è mai appartenuto, al quale non sono mai appartenuto nella mia superfluità, incollocabile sempre, e soprattutto oggi, in una società dominata dall’utile, dall’interesse, dalla materia, dall’apparenza. Non sto recriminando e non mi sto piangendo addosso; sto solamente rilevando un dato di fatto. Non cambierei la mia natura superflua ed estrema per nulla al mondo. Essere coerente con me stesso, con il mio pensiero è l’unico modo che conosco per preservare la mia innocenza e trovare almeno una parvenza di pace.

Edvard Munch, Sera. Malinconia I
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