L’escluso – 0

È arrivato il momento di andare. Non mi resta altro da fare ormai.
Ho sempre creduto che si trattasse di una questione di coraggio, ma il coraggio implica volontà e queste non sono cose che si decidono. O almeno per me non è così. Questa mattina ho visto sorgere il sole e ho capito che quella sarebbe stata l’ultima alba a cui avrei assistito. È tutto molto… naturale, sì, naturale. Naturale e pacifico.
Potrei provare a far passare questo momento e tirare avanti, ma che senso avrebbe? Che differenza fa morire oggi oppure tra vent’anni? Andandomene oggi evito altri vent’anni di fastidi e di sofferenze. Perché ogni volta che getto uno sguardo all’avvenire non vedo altro che fastidi e sofferenze. Se non morissi oggi sarei un masochista. Ma io non sono mai stato un masochista. Del dolore ho sempre avuto paura.
Che senso avrebbe far passare questo momento e provare a tirare avanti? Non avrebbe nessun senso. Perché non c’è posto per me in questo mondo. No, non c’è posto per me in questo mondo dominato dall’ignoranza, dalla bestialità, dalla stupidità. Il vero medioevo, nell’accezione negativa del termine, è oggi. Nella storia del genere umano non c’è mai stata un’epoca così nera, così disperata come la nostra. Qualcuno dirà che sto esagerando, che sto alterando la storia. Rispondo che non la guerra, non la carestia, non la violenza sono gli indicatori principali nella valutazione di un’epoca storica. L’indicatore è uno solo: la coscienza. E noi la nostra coscienza l’abbiamo svenduta. In cambio di cosa? In cambio di un’illusione di benessere. Alla coscienza è subentrata l’apparenza. Siamo contenitori vuoti. Non abbiamo più niente dentro.
La scorsa notte ho acceso la televisione. Non ne potevo più di starmene sdraiato a letto con gli occhi spalancati, faccia a faccia con le tenebre. Mi sono alzato, sono andato in cucina e ho acceso la televisione, nel disperato tentativo di distrarmi un po’. Dio mio che schifo. Mi è venuto il voltastomaco. Politicanti che fanno finta di azzuffarsi in nome dell’interesse del paese e della sua gente che intanto prosciugano solamente con la loro meschina e inutile esistenza, puttane e puttanieri che danno vita a disgustose farse e poi chef, chef ovunque.
La Grande Stupidità è tornata. La prima volta condusse il genere umano a due conflitti mondiali. Dove lo condurrà oggi? Dritto all’estinzione? Magari… almeno la smetteremmo di appestare e massacrare questa povera terra colpevole solamente di possedere le caratteristiche necessarie allo sviluppo della vita. Ha ragione Cécile quando dice che ci aspettano tempi bui. Anche lei come me ha la sensazione di una catastrofe imminente, l’ho vista nel suo sguardo. La percepisco, è nell’aria. Possibile che voi non la percepiate?
Accadrà qualcosa di terribile tra poco e io non voglio assistervi. Mi rivolgo all’immagine di padre Paisios del Monte Athos e lo prego perché neanche Cécile vi assista. Soffrirebbe troppo e non lo merita. Lei non merita altro dolore. So che Cécile ha pregato davvero per me, con tutto il suo ardore da martire, ma le sue preghiere non hanno sortito l’effetto sperato. O forse sì, perché finalmente è arrivato il momento della liberazione e della pace.
Cécile è una donna davvero speciale. Me ne sono accorto troppo tardi. Margherita invece… be’, inizio ad avere il sospetto che Margherita sia una donna come tutte le altre.
Cécile, perché non mi hai più scritto? Perché non ti sei fatta più sentire? Quante volte ho pensato a te da quando ci siamo separati, da quando sei salita su quel treno che ti ha riportata a Roma. Ho pensato a te tanto quanto ho pensato a Margherita. Tu hai capito che da solo non ce l’avrei fatta e mi hai donato il tuo dolore, il tuo corpo e la tua fede. Margherita si è limitata al dolore. Inizio ad avere il sospetto che Margherita non sia stata capace di spingersi oltre l’apparenza.
Non è più possibile cambiare le cose. Chi doveva imparare dalla Storia questa volta ha imparato ed è difficile che sbaglierà ancora: ci hanno tolto la fame. In cambio svendiamo loro ogni giorno una piccola parte di noi, una piccola parte della nostra coscienza. E loro ci hanno tolto la fame. Abbiamo la democrazia, abbiamo i diritti, abbiamo la parola. Siamo sazi. Ci hanno tolto la fame e la fame è il primo alimento della lotta e della rivolta. La prima preoccupazione dell’autorità. Cristo non cede alla tentazione nel deserto, non trasforma le pietre in pani e non sfama. Lo farà l’autorità per lui, nel suo nome. Ci hanno ingozzati e ingozzandoci ci hanno disinnescati. Siamo perfettamente innocui. La folla smembrata in miliardi di minuscole entità individuali facilmente controllabili, facilmente manipolabili. Nessun pericolo all’orizzonte. Nessun nemico. Hanno ammantato le nostre esistenze di benessere e di superfluo, soprattutto di superfluo, spacciandolo per necessario. Nell’epoca degli chef ci ingozziamo come polli da batteria e non abbiamo più fame. Di niente. E intanto ogni giorno regrediamo di un passo. Ogni giorno ci avviciniamo di più all’infimo rango di bestie. Riaffiorano puntuali i secolari, inestirpabili pregiudizi – le nostre radici? – e ricominciamo a scagliarci gli uni contro gli altri come bestie. Che fine hanno fatto le nostre coscienze? Le abbiamo barattate in cambio di cibo, per non avere più fame. Di niente. Quando capiremo che siamo tutti – tutti, nessuno escluso – dei poveri disgraziati condannati al dolore e alla morte, sarà troppo tardi.
Non ho più le forze necessarie per poter andare avanti. Anche solo scrivere queste righe è un’impresa per me. La penna mi cade dalle mani come se pesasse decine di chili. Come se pesasse più di me.
Sto scomparendo. Il mio corpo fa spavento, così magro. La pelle si assottiglia ogni giorno di più e ho sempre freddo. Non sono più un uomo ma uno spettro. Addosso mi resta quel poco di carne che basta per tenere insieme quattro ossa. Mi guardo allo specchio e non vedo riflesso un volto ma un teschio. Sembra che in questi mesi sulla mia faccia ci abbiano scavato. Le guance sono sepolcri. Due buche vuote. E sul pallore cadaverico le occhiaie nere risaltano in modo terribile.
Non ho il coraggio di salire sulla bilancia. Questa penna che stringo a fatica nella mia mano scarna, tra le dita sottili ingiallite dalle sigarette, deve pesare di più. L’insonnia mi sta prosciugando. L’insonnia sta svuotando il mio corpo come la consapevolezza ha svuotato la mia testa. Ora fuori sono l’esatta rappresentazione di ciò che porto dentro: niente.
Persino l’odio è svanito. Ora sono come una pianta secca che sta per morire. Quale cura potrebbe riportarmi in vita? Non c’è cura per me. Non c’è cura per la mia malattia perché la mia malattia sono io e quando la malattia di un uomo è se stesso, la sua vita, allora non c’è cura. Non può esserci cura. Allora non resta altro da fare che morire. Non resta altro da fare che lasciarsi andare in quel vuoto che è ovunque dentro e fuori di me.
Non riconosco più il mondo intorno a me. Le cose cambiano forma. Si allungano. Si rimpiccioliscono. Esplodono senza far rumore. Tutto si sgretola. Tutto si riduce in polvere spazzata via dallo scirocco. È un incubo.
È giorno. Fuori il sole risplende alto e sono immerso nelle tenebre. È notte. Fuori regna il buio, cantano le civette e mi tortura la luce, una luce artificiale accecante, che mi impedisce di dormire. Che mi recide le palpebre e mi impedisce di dormire. Ho freddo. I brividi mi attraversano su e giù come scosse elettriche e al tempo stesso grondo sudore. Grosse e dense gocce di sudore scendono giù dalle ascelle cavernose solcando le costole in rilievo come colline. È come se fossi di cera e mi sciogliessi.
Sto scomparendo. Mi sto esaurendo. E il mondo scompare e si esaurisce con me. Il cielo si spacca. Si strappa come un pezzo di carta. La terra trema e si sfascia, si spalanca. Le voragini si moltiplicano e tutto vi precipita mentre qualcosa ne emerge. Vecchi templi dimenticati. Vecchie arche scheletriche. La terra vomita tutti i cadaveri che non ha digerito. Li vomita interi, intatti e su di essi si avventano le cornacchie gracchianti di gioia. Negli antichi cadaveri affondano i loro becchi d’acciaio e trangugiano interi brandelli di carne putrefatta. Intere legioni di topi rendono omaggio all’inattesa stagione dell’abbondanza ballando indefessi e spiritati una danza macabra. Cornacchie e topi, le menti annebbiate dall’inattesa e inedita abbondanza, non si accorgono del pericolo. Non si rendono conto del veleno che inquina le carni vomitate dalla terra e che la terra tra non molto inghiottirà pure loro consegnandoli al nulla.
Me l’aspettavo. Me l’aspettavo un’ultima visita del Nero e infatti si è rifatto vivo. Non lo vedevo dal giorno del mio grande rifiuto.
– Ti sbagli, mio caro Faustino, la tua immaginazione corre troppo, anche se è comprensibile, visto il tuo stato. Non andranno così le cose. La terra vi sopravviverà, in ogni caso, – ha esordito gettando il suo sguardo beffardo fuori, osservando il mio mondo andare in pezzi. Il cielo e la terra spaccarsi, templi, arche e cadaveri riaffiorare in superficie, le cornacchie banchettare e i topi danzare.
– Sarà… – ho mormorato senza troppa convinzione. – In ogni caso anche questa terra andrà in pezzi un giorno. Che differenza fa se gli uomini ci saranno ancora oppure no? – ho domandato poi accendendomi una sigaretta.
– Non ha importanza ora, mio caro Faustino. Sono qui per darti un’ultima possibilità. Per ricordarti che basterebbe un semplicissimo sì per cambiare tutto. Basterebbe un semplicissimo sì per avere tutto ciò che hai sempre desiderato.
– Non cambierò di certo idea ora, che la pace è così vicina. Ora che sento finalmente dentro di me l’indifferenza necessaria per prendermela.
– E va bene, mio caro Faustino, va bene, ma dovevo fare un ultimo tentativo. Mettiti nei miei panni. Voglio comunque dimostrarti tutto il mio affetto per te, te che ho visto crescere come un figlio, e concederti un ultimo, estremo desiderio. Che esuli dalla mia offerta, naturalmente.
– Se tu esisti davvero… Se tu esisti davvero e non sei solo il frutto della mia mente malata… Se tu esisti davvero e io sono stato il primo uomo senza fede a sconfiggerti… ti prego, dopo che il peggio sarà passato, cancellami dalla memoria dei miei genitori, risparmiagli questo dolore terribile.
– Solo tu puoi risparmiarglielo. Perché io farò ciò che mi chiedi, sono un uomo di parola e lo sai bene, ma loro soffriranno sempre, perché sempre resterà loro il sospetto di aver avuto un figlio perduto troppo presto. E ora addio, mio caro Faustino, addio. Avremmo potuto fare grandi cose insieme.
Il Nero scompare. La sua faccia affilata e il suo sorriso beffardo non mi tormenteranno più.
A proposito dei miei genitori, ho sempre immaginato che in un momento del genere il loro pensiero mi avrebbe messo a dura prova, mi avrebbe torturato. Che avrei provato per loro una pena infinita, che mi sarei sentito in colpa come mai nella mia vita. Invece non provo niente. Come ho detto al Nero, sono perfettamente indifferente. Non ho provato niente neppure quando, qualche istante fa, affacciandomi alla finestra, ho visto il piccolo Faustino correre per il giardino, a piedi nudi e felicissimo, rincorso dalla sua giovane madre accaldata. Allora ho capito che morire è naturale, sempre, anche quando ci si uccide giovani e si ha tutta una vita davanti.
Vedo Yasir, ridotto a una mummia dallo sguardo mobile, vedo Tom ed Elvis, vedo i miei genitori e vedo Cécile e Margherita, che si tengono per mano. Dallo sguardo di Cécile mi sembra che voglia sedurre Margherita.
Yasir, Tom, Elvis, i miei genitori, Cécile e Margherita sono nella mia camera e mi osservano. Mi osservano e attendono. Ma il mio ultimo pensiero non va a nessuno di loro. Il mio ultimo pensiero va a quel mio figlio che non vedrà mai la luce.
Ringraziami, piccolo mio, ringraziami. Non è un bel posto questo e non c’è una sola gioia, nemmeno una, che meriti di essere vissuta, che sia all’altezza di tutte le sofferenza che avresti provato se ti avessi messo al mondo. Ringraziami. Ti ho risparmiato così tanto dolore… Non c’erano le condizioni giuste. Non ci sono mai state e non ci saranno mai le condizioni giuste. Aver commesso tutti i crimini tranne quello di essere padre. Se fossi nato mi avresti capito, forse. Ma è meglio così. Meglio non rischiare. Il gioco non vale la candela, fidati. Devi ringraziarmi. Sai cos’è la procreazione? Sai a cosa si riduce? La procreazione si riduce a un goffo ed egoista tentativo di sopravvivere a se stessi, alla propria morte, quando non c’è cosa più bella che scomparire senza lasciare traccia del proprio passaggio su questa terra. Senza avere colpe né responsabilità alle spalle. È così che stanno le cose, piccolo mio. Fa male, lo so, ma è così. E con la scrittura è la stessa cosa. La scrittura è un surrogato della procreazione. Ma io ho distrutto tutto. Non mi lascio niente alle spalle. Nessuna traccia. Nessuna colpa, nessuna responsabilità. Sono puro come te, piccolo mio, che non vedrai mai la luce. Ringraziami per questo. Devi ringraziarmi per questo. Non potevo farti un regalo più grande.
Esco fuori di casa e mi investe una tempesta di polvere. Una tempesta di polvere violenta e inesorabile come una piaga biblica, che strappa gli alberi dalla terra e seppellisce ogni cosa. Mi muovo a fatica controvento, coprendomi gli occhi con un braccio e sostenendomi al muro di casa con l’altro. Riesco a raggiungere la cantina. Mi ci rifugio dentro. Lego una vecchia corda a una trave, salgo sull’unica sedia presente nella stanza, una vecchia sedia dimenticata, devastata dai tarli e mi stringo il nodo attorno al collo. È tutto pronto. La tempesta di polvere deve essere cessata perché non sento più nessun rumore. È tutto pronto. È il momento di andare. Spingo la vecchia sedia impagliata all’indietro. I miei piedi annaspano per qualche secondo nel vuoto. Poi tutto si ferma e il nulla mi avvolge come un sudario.

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Informazioni su Simone Germini

Classe 1989, dopo il diploma di liceo scientifico mi iscrivo alla facoltà di Lettere presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, dove mi laureo nel luglio del 2015 con la tesi «Figlie della crisi. I personaggi femminili di Heinrich von Kleist», pubblicata sulla rivista «Le rotte - Il porto di Toledo». Sempre presso lo stesso ateneo, nel settembre del 2017, conseguo la laurea magistrale in Filologia Moderna, con la tesi «Con le parole guerra alle parole. Linguaggio e scrittura in Carlo Michelstaedter». Dal 2012 al 2018 sono stato caporedattore del blog «Freemaninrealworld». Insieme con Lorenzo Pica, Raffaele Rogaia e Marco Zindato ho fondato il sito iMalpensanti.it. Sul blog «Bazzecole» i maldestri tentativi di scrittura creativa. Per info e contatti simonegermini@yahoo.com.

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