Ieri sera sono tornato da Cristina, due mesi e mezzo dopo l’ultima volta. Le ho confessato che a volte mi sento in colpa e lei mi ha risposto che se tutti i clienti fossero come me il suo sarebbe un bel lavoro. Mi ha detto che ho una bella vita e mi ha chiesto se sono felice. Io le ho risposto che non uso mai questa parola, ma che non posso lamentarmi, perché ho sempre fatto quello che volevo, quello che desideravo e pazienza se non ho raccolto nulla. Al raccolto non ci penso più da tempo. Va bene così.
Abbiamo parlato di estetica, della cura ossessiva del proprio aspetto, soprattutto dal punto di vista delle donne, e Cristina mi ha detto che una donna deve decidere se essere bella per uno, l’uomo che ama e che la ama, oppure attraente per tutti. Cristina in questi mesi mi ha insegnato molte cose.
A Cristina non piace l’Italia. Troppa maleducazione, troppa ignoranza, troppa superficialità, troppi pregiudizi e troppo razzismo. A fine settembre vorrebbe tornare dai genitori, in Grecia, e spero tanto che ci riesca. Merita un’altra vita Cristina, come tutte le donne costrette a fare questo maledetto lavoro, del resto. Mi ha detto che vorrebbe vivere in montagna, in una casa isolata, lontana da tutto e da tutti. Sta perdendo la fiducia nel genere umano ed è naturale. È giusto. Credo che lo slancio filantropico che la animava tempo fa si sia affievolito molto. Forse è addirittura scomparso. Come biasimarla? La vita è un male di per sé, figuriamoci nelle sue condizioni. Questi quattro mesi l’hanno segnata nel profondo, l’hanno cambiata, disillusa, ma non smette di sorridere, Cristina. Questa fase della sua vita resterà per sempre una ferita aperta.
Ho lasciato il suo appartamento a mezzanotte, ero l’ultimo cliente. Mentre tornavo alla macchina, con la mia consueta flemma, l’ho vista sbucarmi davanti. Facevamo la stessa strada e così l’ho seguita. È stato strano vederla fuori dal solito contesto. Aveva le cuffie alle orecchie e camminava con leggerezza, ancheggiando. A volte sembra proprio una bambina… È entrata in una pizzeria, probabilmente doveva ancora cenare. Sono passato davanti al locale, ma a una certa distanza, lei si è voltata e io l’ho salutata con la mano. Ha risposto al mio saluto, ma non subito. Lì per lì non mi ha riconosciuto. Mi sarebbe piaciuto raggiungerla e viverla almeno per qualche istante fuori da quella maledetta stanza, ma temevo di infastidirla, di importunarla e così sono andato dritto verso la macchina, voltandomi di tanto in tanto. Cristina non c’era.