Sono gli altri a determinare la nostra esistenza, il nostro valore, il nostro peso e il nostro ruolo nel mondo. Incapaci di bastare a noi stessi, cerchiamo l’approvazione e, ancor più che per un’esigenza personale, individuale, agiamo per gli altri, per dimostrare loro di essere degni di esistere, di meritare un posto nel mondo, di saper fare tutto ciò che bisogna fare.
Questa visione terribile, da incubo, che svuota l’individuo e lo priva della propria libertà, domina le società, tutte le società, senza eccezione, perché è insita nell’idea stessa di società, e ad essa mi sono sempre opposto, pagando con l’isolamento, l’anonimato, l’incomprensione questa strenua opposizione (ho pensato di scrivere «nel mio piccolo», ma qui non c’è niente di piccolo, qui c’è in gioco la vita di un uomo, del più insignificante e inutile degli uomini, perché consapevole della propria insignificanza e della propria inutilità, d’accordo, ma pur sempre un uomo). L’individuo dovrebbe essere il solo a determinare la propria esistenza, il proprio valore, il proprio peso e il proprio ruolo nel mondo, dovrebbe poter bastare a se stesso e cercare la propria approvazione, secondo ciò che gli prescrive la propria morale, il proprio credo, il proprio pensiero e agire secondo le proprie esigenze, rispettando la libertà altrui. Io non ho mai saputo fare ciò che bisogna fare per avere diritto di cittadinanza in questo mondo, per ritagliarsi un angolino in questa società dominata dal mercato e fondata sulla spersonalizzazione dei suoi componenti, ma so fare ciò che bisogna fare per non tradire me stesso e restare fedele al mio pensiero: dire no, negare e rifiutare tutto ciò che questo mondo e questa società vorrebbero accettassi.