Sono giunto al limite estremo della vita, o meglio, dell’esistenza, dell’essere, dell’esistere, oltre il quale è il nulla eterno, la distruzione ultima, definitiva, permanente. È forse questo il limite cui giunge l’agonizzante prima di esalare l’ultimo respiro, il conclusivo stadio della malattia o della vita naturalmente esaurita, della vecchiaia. Ma io sono sano, o almeno credo, e non sono ancora vecchio, almeno a livello fisico. A livello metafisico invece è un disastro. La sensibilità e la consapevolezza, l’acuta percezione di me stesso e un sentimento del tragico eccessivamente sviluppato mi hanno reso un agonizzante morale che vive la propria morte, nell’unico luogo e nell’unico tempo in cui è possibile viverla, qui e ora. La stragrande maggioranza degli uomini muore senza esserne consapevole, muore senza vivere la propria morte, se non negli ultimi istanti d’agonia. A me è toccata la disgrazia inversa: tutta la mia vita è diventata un unico istante d’agonia. Forse mi resta ancora un’opportunità di soddisfazione: mentre l’uomo inconsapevole muore con dolore, vive gli ultimi momenti come una tortura, io morirò con gioia, accoglierò gli ultimi momenti come una liberazione.