I taccuini di Tarrou – 388

Nel Meister Goethe, di Amleto, coglie l’essenza. Del personaggio di Shakespeare evidenzia tutta la modernità e la portata rivoluzionaria. Amleto è il primo grande inetto della storia della letteratura, soffocato, schiacciato da una responsabilità di cui non è, e non vuole essere, all’altezza. Amleto non è debole, inadeguato, insufficiente in sé, ma in relazione all’eroismo doveroso, convenzionale e banale che governa il suo mondo (in questo senso l’Homburg di Kleist, che implora scandalosamente la grazia, gli è fratello). È il drammatico destino degli inetti, degli uomini superflui, senza qualità, tali soltanto in relazione alla società, ai suoi principi spersonalizzanti, ipocriti, pregiudiziali. Amleto non è ciò che il suo mondo vorrebbe che fosse, un virile e sanguinoso eroe vendicativo, e in questa sua diversità rispetto al canone, al codice, diciamo pure al luogo comune, in questa sua splendida, modernissima unicità risiede il suo dramma. Con Amleto l’umanità prende finalmente il sopravvento sull’eroismo e l’uomo viene rappresentato in tutta la sua miseria e insignificanza. Il tempo degli eroi è finito. Shakespeare inaugura il tempo degli uomini, degli Oreste pietrificati dinanzi allo strappo nel cielo di carta, inadeguati e dubbiosi, schiacciati dal peso insostenibile di responsabilità e doveri che non gli appartengono, che non fanno parte della loro natura lacerata e sanguinante, incapace di adattarsi al mondo che gli è toccato in sorte. L’uomo è crisi, e Shakespeare è il primo autore a fondare su questa desolante verità una grande opera letteraria. Siamo tutti Amleto. L’unica differenza è tra chi ne è consapevole e chi no.

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