I taccuini di Tarrou – 381

È naturale che l’Arte sia morta. In un mondo come il nostro, dominato dall’industria e dal dio dell’utile, dall’ultra-capitalismo e dal denaro, l’arte è ammessa soltanto se ha un valore economico, dunque se si può vendere e comprare. Ma l’arte ridotta a bene di consumo non ha, non può avere un valore artistico, è soltanto un prodotto, come un divano o una lampada. Lo stesso principio ha condotto alla morte della letteratura: si pubblicano soltanto i titoli che garantiscono un determinato numero di vendite, dunque di guadagni. È il profitto a orientare le scelte degli editori e così i libri migliori, se esistono, si perdono nel nulla, senza lasciare traccia. Un’opera d’arte, una vera opera d’arte non è commerciabile. Soltanto i prodotti lo sono, e oggi una libreria, eccezion fatta per lo scaffale dei Classici, sempre più ridotto, è di fatto un supermercato, in cui, tra l’altro, la merce esposta è di pessima qualità: fango ai porci.

Essere rifiutati dagli editori è oggi un autentico attestato di valore.

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