I taccuini di Tarrou – 269

A differenza dell’uomo superfluo di Turgenev o dell’uomo del sottosuolo di Dostoevskij, non mi sono mai reso protagonista di gesti eclatanti, di imprese memorabili. Non ho mai sfidato a duello un principe per gelosia, non ho mai fatto scenate pubbliche ai miei conoscenti, non ho mai offeso e umiliato l’unica donna disposta ad amarmi (anche perché non ho mai conosciuto una donna disposta ad amarmi): nella mia vita non ho fatto altro che nascondermi, che sforzarmi con tutto me stesso di apparire il meno possibile, di passare inosservato. Ma i gesti e le imprese non contano, è l’interno a rendermi simile ai personaggi di Turgenev e Dostoevskij, l’astrattezza, l’autoreferenzialità, la sensibilità romantica, la sovrariflessione (anch’io sono sempre stato uno «spremimeningi», come il capitano Koluberdjaev definisce l’uomo superfluo che gli domanda, disperato, perché il principe N. lo abbia risparmiato, seppellendolo vivo con la sua magnanimità), la dannata consapevolezza della propria insignificanza, della propria ridicolaggine e, infine, il destino di solitudine.

Diciamo che le componenti psicologiche dell’uomo superfluo e dell’uomo del sottosuolo nel mio caso si fondono con un immobilismo di stampo oblomoviano.

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