I taccuini di Tarrou – 267

Le cinque del pomeriggio: un’ora improponibile per un ultimo incontro con Cristina. Troppa luce.
Sono tornato da lei ieri sera. Ha sistemato la stanza, imbiancato le pareti, cambiato i mobili, le luci, le tende, rendendo tutto più pulito e confortevole. È felicissima del risultato: ora si sente a suo agio, sente la stanza davvero sua. Sul letto ha appeso una grande stampa di genere astratto, dalle pennellate spesse, dai colori forti. L’ho apprezzata molto e Cristina mi ha detto che quando andrà via da qui, se voglio, posso prenderla. Le sue parole mi hanno fatto piacere.
Da questi particolari, dalla cura della stanza, dalla sua gioia per averla resa più simile a lei, alla propria personalità, dalla sua proposta di regalarmi la stampa quando andrà via, e spero per lei che ciò avvenga il prima possibile, emerge come Cristina non si sia lasciata travolgere dal suo lavoro, come lo consideri soltanto una fase della sua vita, evidentemente necessaria, ma passeggera. È rimasta e rimarrà, ne sono certo, una ragazza come tante, che ha fede in se stessa, nella vita, nella speranza, nell’avvenire. Cristina non si è lasciata contagiare dalla disperazione, dalla depravazione, dall’indifferenza; si è mantenuta intatta, forte, salda, nonostante tutto, e sa regalare l’illusione che il tempo passato in sua compagnia non sia comprato, ma voluto da entrambi.
Mi sono imposto di non essere definitivo, esasperante, melodrammatico, almeno per una volta, e sono stato bene in compagnia di Cristina ieri sera. Ho ritrovato la naturale, spontanea e leggera intimità dei nostri primi incontri. Ho evitato accuratamente ogni discorso sulla mia condizione e tutto è andato bene, almeno fino al momento in cui, preparandomi per andare via, mi ha detto di avere un altro appuntamento. Era mezzanotte e credevo di essere l’ultimo cliente della giornata. L’illusione di un rapporto disinteressato è crollata di colpo ed io di colpo mi sono rabbuiato.
– Stai bene? Sei triste? – ha domandato Cristina notando il mio cambiamento. Il mio volto non sa nascondere gli stati d’animo. Li riflette come uno specchio. Innumerevoli volte ho provato dolore per non avere un volto simile a una maschera. Non sono mai stato capace di mentire e, purtroppo, non ho bisogno di parole per rivelare a chi mi sta accanto cosa ho dentro.
– Io sono sempre un po’ triste, – ho risposto, senza aggiungere altro e sorridendo di quel mio sorriso malinconico che ogni volta è una dichiarazione di resa all’infelicità della vita e alla mia condizione disperata.
Prima di andare via Cristina mi ha abbracciato, ma non è stato un semplice abbraccio. Mi ha stretto a sé con una forza che non credevo potesse avere e che non sono riuscito a eguagliare. Mi ha stretto come se volesse trattenermi a sé e salvarmi da un precipizio. Nessuna donna mi ha mai abbracciato in questo modo.
– Ti voglio bene, – mi ha sussurrato all’orecchio.
Stupito, quasi inebetito da quell’abbraccio serrato e da quella dichiarazione d’affetto che mai mi sarei aspettato, l’ho ringraziata e le ho risposto che anch’io le voglio bene. Contraddirmi e tornare da Cristina è stata la decisione migliore che potessi prendere. Quell’abbraccio e quelle parole non hanno prezzo: non cambieranno la mia condizione, la mia vita, ma almeno hanno sottratto un istante al dolore e alla devastazione. Almeno per un momento, Cristina mi ha donato ciò di cui avevo – ho – disperatamente bisogno.

Proprio non capisco come quel pazzo autolesionista di Bardamu possa rinunciare a Molly. Capisco invece benissimo come la resurrezione di Raskol’nikov non sarebbe possibile Sonja. Soltanto una donna come lei, soltanto lei avrebbe potuto salvarlo.

(Cristina mi ha stretto a sé come se volesse trattenermi da un precipizio ed io stanotte ho sognato di buttarmi con il paracadute. Ricordo l’emozione di osservare il mondo dall’alto e il timore, quasi soffocante, di non riuscire ad aprire il paracadute in tempo. L’ho aperto in ritardo, ma sono atterrato sano e salvo.)

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