I taccuini di Tarrou – 234

Secondo la mia idea di grande letteratura, che prevede necessariamente la presenza di una componente filosofico-morale nell’opera, proclamando la superiorità della sostanza sulla forma, e richiede una certa coerenza all’autore, una uniformità tra pensiero e vita, scrittura e azione, teoria e pratica, il vero grande Tolstoj non è l’aristocratico che, compiaciuto di se stesso, della propria posizione sociale privilegiata e del proprio immenso talento, scrive Guerra e pace Anna Karenina, ma l’uomo che, smessi i ricchi abiti del conte, indossa quelli essenziali del mužik, lavora al fianco dei contadini, arando personalmente la terra, come lo immortala Repin in un memorabile dipinto, insegna loro a leggere e scrivere, chiede allo zar di graziare i terroristi, viene scomunicato dalla chiesa, scrive Resurrezione, La morte di Ivan Il’ič, Padre Sergij, Sonata a Kreutzer, prende per il petto la società soffocata dalle menzogne e le grida dritto in faccia «verità, verità!», come scrive Michelstaedter nel suo vibrante omaggio allo scrittore. Sì, per me è questo il vero grande Tolstoj, che infine a ottantadue anni suonati scappa di casa portando con sé I fratelli Karamazov e muore in una piccola stazione ferroviaria dell’immensa Russia in un’ultima, estrema e disperata rivendicazione della propria libertà.

Il’ja Repin, Lev Tolstoj
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