I taccuini di Tarrou – 21

Suicidandosi nel 1910, ad appena ventitré anni (ma come può l’età anagrafica riflettere l’età spirituale di un uomo che troppo sa e troppo vede, portando sulle proprie spalle il peso dei secoli?), Carlo Michelstaedter si salva. Dalla degenerazione della malattia, dalla follia, forse (il destino di Nietzsche, l’unico filosofo e artista che, secondo Camus, si caratterizza per una perfetta corrispondenza tra pensiero, arte e vita, l’estremo desiderio di Michelstaedter, con la pazzia che appare dunque l’ultima, più severa e distruttiva, ancor più della morte, conseguenza della coerenza), dalla brutalità, dalla ferocia della Storia che, di lì a poco, si abbatterà sull’Europa e travolgerà la sua famiglia (la madre, Emma Luzzatto, autentica mater dolorosa di cui conservo il ricordo nel profondo del cuore, dopo aver pianto due dei suoi quattro figli, entrambi suicidi, morirà nel 1943, novantenne, sulla strada per Auschwitz).

La pietra d’inciampo in ricordo di Emma Luzzatto, Gorizia, Via Garibaldi, 5
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