L’escluso – meno 5

Povero Yasir. Yasir è stato ridotto in fin di vita per colpa mia, per la mia sete di vendetta. Se avessi saputo che le mie coltellate… Ma come potevo sapere? Come potevo anche solo immaginare? Il caso mi prende per il culo e deve scompisciarsi dalle risate alle mie spalle. Mi sembra di sentirle le sue risate sguaiate, sgangherate. Mi fanno rabbrividire. Per non correre rischi un uomo dovrebbe rinchiudersi in una stanza e aspettare buono e zitto la morte. A ogni passo, a ogni gesto e a ogni parola rischia di spargere dolore. Come se non ce ne fosse già abbastanza in questo mondo.
Vendetta genera vendetta. Il figlio di puttana che mi ha spaccato la bottiglia in testa e che io ho accoltellato ha voluto vendicarsi delle mie coltellate ma ha commesso un errore madornale. Si è vendicato contro la persona sbagliata. Ormai non posso farci niente. Ormai quel che è fatto è fatto e posso solo augurare a Yasir di morire, e di morire presto.
O Morte, signora e regina Morte, tu sola giusta, tu sola tollerante, tu sola democratica, libera quel povero disgraziato di Yasir dalle atroci sofferenze che lo torturano. Liberalo, io ti prego, o signora e regina del riposo e del bene.
Penso alla famiglia di Yasir, a sua moglie e ai suoi figli. Che ne sarà di loro? Il rimorso mi rode nel profondo come un topo grasso e mi fa sentire vivo, troppo vivo.
O Morte, signora e regina Morte, libera anche me con Yasir. Estirpaci entrambi da questo campo di dolore e donaci la pace. Donaci il conforto di quel nulla dal quale noi tutti proveniamo e al quale noi tutti torneremo.
Se avessi del denaro da parte lo donerei tutto alla famiglia di Yasir pregando sua moglie di tornarsene con i figli in Pakistan.
– Non è un bel posto qui, – ripeterei loro le parole disperate del padre.
Yasir: essere ricco. Ricco di lividi. Ricco di fratture. Ricco di ustioni.
Quando ho accoltellato quel figlio di puttana che mi aveva spaccato una bottiglia di birra in testa senza motivo avevo il mazzo di rose comprato da Yasir in mano. Il mio giubbotto è vecchio, scolorito, consumato e rattoppato come quello di Yasir. Hanno preso Yasir per me e si sono vendicati. Lo hanno pestato a sangue e, non contenti, gli hanno dato fuoco. Dopo averlo pestato a sangue lo hanno trascinato sulla spiaggia alle spalle del Santuario, lo hanno cosparso di benzina e gli hanno dato fuoco. Quel branco di maiali che senza motivo aveva pestato anche me. Ora Yasir lotta tra la vita e la morte in non so quale ospedale di Roma. Ha ustioni di terzo grado, talvolta persino quarto, per il novanta percento del corpo.
Smettila di lottare Yasir. Non serve a niente. Getta la spugna e lasciati andare all’eterno riposo. Concediti all’eterno riposo. Muori, Yasir, muori. Per il nostro bene.
I maiali non sono stati scaltri. I maiali questa volta hanno davvero esagerato e si sono fatti beccare. Il caso è venuto alla ribalta della cronaca nazionale. L’insignificante Nettuno è stata presa d’assalto da centinaia di telecamere riunite tutte in quel lembo di spiaggia desolata alle spalle del Santuario dove hanno bruciato Yasir, come un rifiuto. Se n’è parlato per due giorni in tutti i telegiornali e in tutti i talk show politici. Persino il Presidente della Repubblica ha sentito il dovere di esprimersi sulla vicenda.
– Razzismo! Razzismo! Razzismo! – hanno gridato tutti strappandosi le vesti.
Ecco. Se considerassimo l’umana bestialità per quella che effettivamente e spaventosamente è, senza categorizzarla e dunque semplificarla, edulcorarla, agghindarla d’inutili orpelli retorici, faremmo un bel passo in avanti. Ma noi sappiamo solo muoverci all’indietro come gamberi. Il progresso morale è inversamente proporzionale al progresso tecnologico. La tecnologia annienta la nostra umanità e il benessere l’evoluzione, sì, il benessere arresta il processo evolutivo, ma cosa cazzo c’entrano queste sciocchezze ora?
– Macché razzismo! Quell’uomo mi ha accoltellato e io mi sono vendicato. Lo avrei fatto anche se fosse stato italiano, – si è giustificato il capo dei maiali, quello che mi ha spaccato la bottiglia di birra in testa e che IO – lo grido con tutto il fiato che mi resta nei polmoni inceneriti: IO! – ho accoltellato. Poi ha farfugliato qualcosa su voci e demoni.
Approdarono nella regione dei Gerasèni, che sta di fronte alla Galilea. Era appena sceso a terra, quando gli venne incontro un uomo della città posseduto dai demòni. Da molto tempo non portava vestiti, né abitava in casa, ma nei sepolcri. Alla vista di Gesù gli si gettò ai piedi urlando e disse a gran voce: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio Altissimo? Ti prego, non tormentarmi!». Gesù infatti stava ordinando allo spirito immondo di uscire da quell’uomo. Molte volte infatti s’era impossessato di lui; allora lo legavano con catene e lo custodivano in ceppi, ma egli spezzava i legami e veniva spinto dal demonio in luoghi deserti. Gesù gli domandò: «Qual è il tuo nome?». Rispose: «Legione», perché molti demòni erano entrati in lui. E lo supplicavano che non ordinasse loro di andarsene nell’abisso.
Vi era là un numeroso branco di porci che pascolavano sul monte. Lo pregarono che concedesse loro di entrare nei porci; ed egli lo permise. I demòni uscirono dall’uomo ed entrarono nei porci e quel branco corse a gettarsi a precipizio dalla rupe nel lago e annegò. Quando videro ciò che era accaduto, i mandriani fuggirono e portarono la notizia nella città e nei villaggi. La gente uscì per vedere l’accaduto, arrivarono da Gesù e trovarono l’uomo dal quale erano usciti i demòni vestito e sano di mente, che sedeva ai piedi di Gesù; e furono presi da spavento. Quelli che erano stati spettatori, riferirono come l’indemoniato era stato guarito. Allora tutta la popolazione del territorio dei Gerasèni gli chiese che si allontanasse da loro, perché avevano molta paura. Gesù, salito su una barca, tornò indietro. L’uomo dal quale erano usciti i demòni, gli chiese di restare con lui, ma egli lo congedò dicendo: «Torna a casa tua e racconta quello che Dio ti ha fatto». L’uomo se ne andò, proclamando per tutta la città quello che Gesù gli aveva fatto.
Ma non funziona così. Dio è morto. Cristo è morto e anche se tornasse su questa terra non si metterebbe a fare miracoli ma a fare bombe. Piazzerebbe ordigni artigianali lungo tutto il perimetro delle mura vaticane per abbatterle. Quante volte l’ho visto vestito di stracci all’ombra del colonnato di San Pietro osservare con odio il tempio opulento, sfarzoso e digrignare i denti e serrare i pugni. Arrivava sempre qualcuno a scacciarlo in malo modo scambiandolo per un barbone.
Gli assassini di Yasir potrebbero comprendere. Gli assassini di Yasir potrebbero comprendere ma solo se si facesse provare loro almeno parte delle sofferenza patite da Yasir. Si potrebbe bruciare loro un braccio o una gamba. Ma così non può essere e così infatti non sarà. Ciò che sarà non servirà a niente. Anzi a qualcosa servirà: a peggiorare le cose. Dovremmo avere il coraggio di radere al suolo tutto, di essere il terremoto di noi stessi e ripartire da zero. Non c’è altra possibilità.
Margherita mi appare sempre più spesso e mi ha assolto.
– Non essere duro con te stesso. Non sei tu il responsabile della bestialità degli assassini di Yasir, – ha detto accarezzandomi la guancia con la sua mano consumata dai pugni.
Cristo mi appare di tanto in tanto, vestito di stracci, e anche lui mi ha assolto. Mi ha detto le stesse identiche parole di Margherita e poi mi ha baciato come si bacia un fratello.
Della carezza di Margherita e del bacio di Cristo ho fatto una coperta in cui mi sono avvolto. La mia pelle sempre più sottile non mi basta più. Ho sempre freddo e io che ho sempre odiato l’estate ora la bramo per sentire meno freddo.
E pensare che da ragazzo avevo un sogno magnifico chiamato anarchia. Ma si può essere anarchici solamente nutrendo una fiducia sconfinata nei confronti del genere umano. Io da ragazzo ce l’avevo ma poi l’ho perduta perché ho conosciuto l’uomo. La stringevo nella mano la fiducia. Quando l’ho aperta non era rimasto che un cumulo di polvere. Lo scirocco se l’è portata via spargendola nell’aria come le ceneri d’un morto. Io una volta morto completamente morto voglio essere cremato e voglio che le mie ceneri siano sparse nell’aria ma non in un giorno di scirocco. In un giorno di pioggia, magari. L’ultimo capriccio di un malato terminale. Siamo tutti malati terminali. La faccenda della cremazione la porto sempre con me, dichiarata in un biglietto che conservo nel portafogli. Non si sa mai. Dovesse farmi una grazia il caso.
Un tempo avevo fiducia ora al posto della fiducia c’è l’odio. Io odio. Io sono odio. Odio ergo sum. Decine di volte al giorno stermino con il pensiero l’intero genere umano. Rimango l’unico, il solo e di colpo mi sento meno solo.
Ci sono certe notti in cui mi sembra davvero d’essere rimasto l’unico, il solo. Quando per le strade di Nettuno non c’è nessuno oltre me e le paranze che solcano il mare sono troppo lontane, non sono che luci, per immaginare che portino uomini a bordo. Poi però il mondo mi ricorda all’improvviso che ci sono altri sei o sette miliardi d’individui come me che vi rotolano sopra. A volte me lo ricorda con delicatezza facendomi sfilare accanto una madre che spinge una carrozzina. Altre volte invece me lo ricorda con brutalità, mostrandomi magari il vergognoso spettacolo di due uomini che se le danno di santa ragione, come qualche notte fa.
Uno era alto e magro, nero come la notte, un africano. L’altro basso e tarchiato, pallido come la luna, un italiano. Aggrovigliati a terra si pestavano e sulle loro facce sfigurate dalla fatica e dall’odio sgorgava sangue. Non dicevano niente. Si pestavano e basta. Si pestavano, grugnivano e basta. Che l’africano fosse un pusher si vedeva lontano un chilometro. Che il viso pallido fosse un suo cliente insoddisfatto pure. Li guardavo e sulla mia faccia non c’era disgusto ma autoironia. Sorridevo di me stesso, di come fino a qualche istante prima credessi di essere l’unico, il solo. Poi è arrivata una volante della polizia e le due bestie si sono dileguate. Hanno visto la macchina degli sbirri con la coda dell’occhio e si sono dati persino una mano a vicenda a rialzarsi e sono fuggiti via, come scarafaggi sorpresi nella notte da una luce improvvisa.
Io ho ripreso il mio calvario domandandomi con stupore come un giorno potessi aver avuto fiducia in tutto questo.

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Informazioni su Simone Germini

Classe 1989, dopo il diploma di liceo scientifico mi iscrivo alla facoltà di Lettere presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, dove mi laureo nel luglio del 2015 con la tesi «Figlie della crisi. I personaggi femminili di Heinrich von Kleist», pubblicata sulla rivista «Le rotte - Il porto di Toledo». Sempre presso lo stesso ateneo, nel settembre del 2017, conseguo la laurea magistrale in Filologia Moderna, con la tesi «Con le parole guerra alle parole. Linguaggio e scrittura in Carlo Michelstaedter». Dal 2012 al 2018 sono stato caporedattore del blog «Freemaninrealworld». Insieme con Lorenzo Pica, Raffaele Rogaia e Marco Zindato ho fondato il sito iMalpensanti.it. Sul blog «Bazzecole» i maldestri tentativi di scrittura creativa. Per info e contatti simonegermini@yahoo.com.

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