Incontro Yasir tutte le sere. Ogni volta gli chiedo come vanno gli affari e lui ogni volta mi risponde che vanno male. Ogni volta gli dico di mandare i figli a scuola e lui ogni volta mi risponde sì, domani. Ogni volta prima di andarsene mi ricorda che non è un bel posto questo.
Tutte le sere incontro la stessa ragazza. Corre, le cuffie alle orecchie, i capelli raccolti in una coda lunga e svolazzante. Mi sfreccia accanto, in direzione opposta alla mia, sempre all’ingresso di Villa Borghese, in via Gramsci. Mi sfreccia accanto e assorbo il suo profumo. Le getto uno sguardo mentre lei guarda sempre dritto davanti a sé e poi ascolto i suoi passi fin quando mi è possibile. Allora riprendo il mio calvario.
Stasera lei non correva. Se ne stava accoccolata su un muretto e guardava il mare. L’ho riconosciuta subito, anche se aveva i capelli sciolti e ai piedi portava degli stivali e non le solite scarpe da ginnastica. L’ho vista e avrei voluto procedere oltre ma una forza irresistibile mi ha attratto a lei. Mi sono seduto sullo stesso muretto, a un paio di metri da lei, mi sono preparato una sigaretta e l’ho fumata, guardando anch’io il mare. Quella stessa forza irresistibile che mi ha costretto a fermarmi e a sedere accanto a lei mi ha anche costretto a rivolgerle la parola.
– Niente corsa stasera? – le ho domandato con una naturalezza sorprendente anche per me. Io che sono sempre stato impacciato con le donne, timido fino alla stupidità, mi sono rivolto a lei con una naturalezza che credevo non mi appartenesse.
Lei finalmente si accorge della mia presenza. Si volta, mi getta una rapida occhiata, mi riconosce. Poi torna a guardare il mare.
– No, purtroppo. Stamattina ho preso una storta e la caviglia si è gonfiata, – mi ha risposto, ma come se rispondesse più al mare che a me, come se fossero state le onde a rivolgerle la parola.
La naturalezza scompare di colpo e vorrei fuggire a gambe levate. Ci provo, mi alzo, ma proprio non riesco a schiodarmi da quel lembo di terra al confine tra Anzio e Nettuno che chiamiamo Marinaretti. Inizio a passeggiare avanti e indietro, come facevo sempre prima di un esame impegnativo quand’ero ancora uno studente universitario pieno di aspettative e di speranze. Fuori mantengo sempre un certo contegno, sembro tranquillo e imperturbabile, dentro in realtà mi divora l’ansia che attimo dopo attimo degenera in angoscia.
Penso e ripenso a qualcosa da dire, lo trovo finalmente, ma ora devo trovare pure il coraggio di sputarlo fuori. Apro la bocca, ci provo, ma la richiudo in fretta e scuoto la testa. Mi appoggio al muretto, dando le spalle al mare questa volta. Mi guardo intorno. Non c’è nessuno oltre noi due.
Con mia grande sorpresa è lei a rivolgermi la parola, come se abbia compreso tutto senza neppure guardarmi, intuendolo solo dai miei movimenti inquieti.
– Mi secca non poter correre e non potermi allenare. Odio stare ferma, non lo sopporto, – dice lanciandomi un’altra rapida occhiata.
– Si vede che ti secca. Te ne stai lì avvoltolata in te stessa come se ce l’avessi col mondo intero.
– Non so stare ferma e non posso permettermelo, – e detto questo si scuote tutta, scende dal muretto, si sgranchisce le gambe atletiche e si appoggia, come me, spalle al mare.
Non vorrei appiccicarle addosso il mio sguardo disperato, non vorrei turbarla o infastidirla, ma cedo alla tentazione e più che osservarla la divoro. Ha i capelli lunghi, lisci, castani. È poco più bassa di me e il suo fisico è tonico e atletico. Ma che importa come è fatta, se è bella o brutta? A chi interessa? A me non più, dopo che ho scoperto il fuoco che ha dentro.
– Che sport fai? – le domando avvicinandomi di un passo, strisciando lateralmente sul muretto.
– Pugilato, a livello agonistico. Ho tre incontri all’attivo, uno vinto e due persi, nessuno per kappaò.
– Caspita… Eppure non si direbbe, – dico sorpreso e ammirato. Non avrei immaginato che potesse fare pugilato, è così… graziosa.
– Sei proprio sicuro? Dovresti vedere il mio naso, che non è mai stato bello di suo e adesso si è pure storto.
Mi avvicino di un altro passo e osservo meglio il suo naso. È piuttosto pronunciato ed effettivamente un po’ storto. Sopra ha una ferita fresca.
– Ieri un tipo me lo ha aperto. Ho perso molto sangue e che tu ci creda oppure no, per la prima volta in vita mia ho capito che siamo fatti di sangue, – mi spiega.
Ci presentiamo e ci conosciamo meglio. Lei si chiama Margherita e ha ventotto anni. È laureata in lettere, come me, ma si è specializzata in comunicazione, a Milano, laureandosi due mesi fa. Anche lei come me ha la passione per la scrittura e scrive soprattutto versi. Ne parliamo per un bel po’ e parlando con lei mi dimentico di tutto il resto, dell’insonnia, della disoccupazione, e non mi accadeva da non so quanto tempo.
Margherita è un lampo improvviso che squarcia le tenebre. Quel lampo improvviso che annuncia l’acquazzone benefico atteso e implorato dopo mesi di siccità. Nel suo percorso di studi è stata ben più assennata, accorta e razionale di me. Nella scelta della specializzazione, presa dopo un anno sabbatico impiegato a lavorare come cameriera, ha sacrificato la passione all’utilità, come io non ho voluto e non ho saputo fare.
– Sei stato coraggioso, – mi dice lei.
– Macché coraggioso, sono stato incosciente e stupido, – la correggo io.
La accompagno a casa, a Colle Paradiso, un chilometro circa dai Marinaretti, e Margherita mi parla di Roberto Bolaño, il suo scrittore preferito, e poi di nuovo del pugilato, che ha iniziato a praticare tardi, convinta da suo padre, ex pugile. Mi racconta i suoi tre incontri soffermandosi soprattutto sull’ultimo, contro una pugile che ne aveva più di venti alle spalle ed era troppo forte per lei, ma qualche bel cazzotto era comunque riuscita a darglielo.
– Forse non sono brava, forse non ho talento, ma non mi importa, io non mollo. Il pugilato mi fa sentire viva, più della scrittura, – e nella sua voce ho sentito determinazione e al tempo stesso commozione.
Prima che Margherita scompaia dietro il portone di casa mi chiede l’indirizzo di posta elettronica, così può inviarmi qualche suo testo. Glielo do, quindi ci salutiamo e me ne torno alla macchina.
Così eccomi qui, di nuovo tra le quattro pareti ammuffite della mia camera, a pensare a lei. Un pensiero piacevole finalmente, dopo non so quanto tempo. Penso alla forza irresistibile che mi ha attratto a lei, come una falena è attratta dalla luce, che mi ha costretto a rivolgerle la parola e al fatto che lei non mi abbia respinto. Sento riaffiorare dentro di me il desiderio. Il desiderio di rivederla, di parlare ancora una volta con lei, di leggere i suoi testi e di leggere un libro di Bolaño, perché i libri che amiamo dicono moltissimo di noi, molto più di quanto immaginiamo.
Se avesse ragione Tom? Se bastasse davvero amare ed essere amato per risollevare la baracca? Io non ho mai amato. O forse sì, ho amato, ma il mio amore non è mai stato ricambiato e quindi è come se non avessi mai amato. Perché l’amore se non è corrisposto non è amore ma semplice infatuazione. Cavolo, io detesto parlare dell’amore. All’amore sono legate alcune delle pagine più nere della storia della mia vita e mi infastidisce anche solo scriverla così tante volte di seguito la parola amore.
Con le donne ho sempre fallito. Sembra proprio che le donne non possano amarmi, non possano desiderarmi come amante ma solo volermi bene come si vuole bene a un fratello. Sono anni ormai che ho smesso di tentare. Dell’ultima donna baciata non ricordo né il nome né l’aspetto. È passato troppo tempo. È passato così tanto tempo che a volte mi sembra addirittura di non avere mai avuto niente a che fare con le donne in vita mia. Eppure, nonostante questa situazione disperata ho avuto decine e decine di rapporti sessuali e con donne sempre diverse, ma non voglio insozzare con questi turpi ricordi di cui non vado affatto fiero il pensiero di Margherita.
Margherita… poteva forse chiamarsi in un altro modo? Poteva chiamarsi in un altro modo la donna che doveva apparirmi come un’esplosione di luce e di calore nella mia nera Siberia? Io non credo nel destino, ma quando si tratta di donne finisco sempre per cogliere tutti i segnali e subire il fascino di questi segnali. Li metto insieme e creo un disegno perfetto. Ed ecco che ci ricasco, ancora una volta, come se fosse la prima volta, come se non avessi trent’anni e decine di fallimenti alle spalle ma fossi un adolescente che ancora non sa come vanno le cose. È passato tanto tempo e quando passa tanto tempo l’esperienza finisce per svuotarsi di senso e non avere più valore. Cavolo, ho passato in compagnia di Margherita forse meno di un’ora e già sto costruendo i miei sciocchi e ridicoli castelli di carta. Ho il dannato vizio di idealizzare le donne ed è un guaio. Ma posso comprendere e persino giustificare me stesso: nel niente ci si aggrappa a tutto.
Margherita, sarebbe bello rivederti. Sarebbe bello parlarti di nuovo, leggerti e conoscerti meglio leggendo un libro di Bolaño. Sarebbe bello correre con te, al tuo fianco, faticare con te, al tuo fianco, confortato dal tuo sorriso. Sarebbe bello vederti in un incontro di pugilato. Il pugilato, che più della scrittura ti fa sentire viva. Anch’io questa notte, dopo aver parlato e passeggiato con te, anch’io mi sento un po’ più vivo. L’insonnia mi spaventa meno questa notte. Pensare a te è come dormire.
A volte, nel corso della mia vita, dentro di me ho sentito così tanto amore da rifare il mondo intero. Ma ogni volta questo amore è stato trascurato, maltrattato come se non valesse niente e fosse qualcosa da buttare. Allora all’amore subentrava l’odio e dentro di me sentivo così tanto odio da distruggere il mondo intero.
Ecco, ancor più del pensiero, ancor più delle convinzioni, delle verità apprese dai libri e inconciliabili con questo mondo e con questa vita, sono stati gli innumerevoli rifiuti di tutte le donne che ho amato o creduto di amare a farmi sentire un estraneo, un escluso. L’amore non è per tutti, esistono individui che non sono fatti per l’amore e io sono uno di questi. Lo so da un pezzo ma quando ci penso fa male come se lo scoprissi per la prima volta. E con Margherita non potrà essere diverso. Devo andarci con i piedi di piombo perché in fondo passare un’ora insieme, scambiare quattro chiacchiere e scoprire di avere un paio di cose in comune non significa niente. Ne sono perfettamente consapevole, ma sono anche perfettamente consapevole che pur essendone perfettamente consapevole non riuscirò a evitare di farmi del male. Figuratevi, già mi sto pentendo d’essermi fermato ai Marinaretti e non essere andato oltre. Ma quella forza irresistibile, irresistibile e sconosciuta, non mi ha lasciato scampo. Non ho potuto non fermarmi perché le cose vanno come devono andare, è inevitabile.