I taccuini di Tarrou – 425

La terra brucia e noi con lei.

Quattro novembre: caldo e siccità, la terra riarsa come in piena estate. Della pioggia neanche l’ombra. Dicono che andrà sempre peggio. Siamo Africa, e non solo a livello climatico ormai, ma non vogliamo comprenderlo né accettarlo, come non comprendiamo e non accettiamo la morte. Ogni sacrosanto giorno viviamo la nostra morte, illudendoci di vivere. Ergiamo intere civiltà sull’abisso del represso, ma l’abisso del represso finisce sempre per inghiottire tutto.

Proprio non capisco come si possa fare un figlio in queste condizioni. Incoscienza oppure egoismo. Nient’altro. Non potrei mai generare una nuova vita in un mondo che, climaticamente, si avvia alla distruzione (il deserto è la distruzione), e nel quale è presente una quantità di armi nucleari tale da spazzare via in pochi istanti non una, non cinque, non dieci ma venti terre. Verrà, prima o poi verrà, quell’«uomo fatto […] come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato», che «s’arrampicherà al centro della terra» per porre l’«esplosivo incomparabile» nel punto in cui «il suo effetto potrà essere il massimo». È solo una questione di tempo. Non abbiamo scampo. E la vera, tristemente ironica tragedia, è che quell’«esplosione enorme», udita da nessuno, che riporterà la terra alla «forma di nebulosa», non è il peggiore degli scenari, anzi…

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