Non ho mai voluto che l’idea del suicidio fosse per me soltanto un «efficace strumento di consolazione», come scrive Nietzsche, con il quale superare «bene molte cattive notti». È mediocre, e vile, fare del suicidio uno strumento di sopravvivenza, un palliativo contro le sofferenze più terribili. Il suicidio, se consapevole, lucido, ragionato, realmente scelto, è una grande opportunità di affermazione della propria individualità e, soprattutto, di liberazione dall’agonia della vita. È disonesto e meschino svilirlo in questo modo, servendosene come un antidepressivo, come fa l’arpista di Goethe. La vita-agonia o la morte-liberazione: tertium non datur.