Spesso l’immobilismo, interpretato dall’esterno come un sintomo di debolezza, di negligenza, di nullafacenza, è in realtà una scelta individuale, coerente con la propria natura, una scelta feroce e drammatica, che rivela un’acuta percezione di se stessi e del proprio ruolo, o meglio, non-ruolo nel mondo. Scuotere Oblomov non serve a niente, è un esercizio egoistico, inutile, fine a se stesso, che rivela tutta la propria incapacità di comprendere l’altro, e non porta mai a qualcosa di buono, di positivo, anzi, approfondisce, aggrava ancor di più il dramma esistenziale dell’immobile. Provereste mai a convincere un monaco a lasciare il monastero, la tunica e tornare uomo tra gli uomini? Il problema è che sono proprio i cari, gli affetti stretti a non comprendere per primi tutto questo, a non accettare che il loro figlio, il loro fratello, il loro amico non sia come loro, ma qualcosa di diverso, di molto più profondo, complesso, abissale, insondabile.