Gli sconfitti – La confessione

«Cosa c’è figliolo? Sei così irrequieto. Sembri quasi sconvolto. Siediti, ti prego».
«Non ci riesco padre, mi scusi. Non riesco proprio a stare seduto. Io… Io da due giorni non vivo più».
«Cosa ti tormenta? Parla, e tranquillizzati».
«Ma è davvero sicuro qui? Non può proprio sentirci nessuno?».
«Può sentirci solamente il buon Dio, a Lui non si può nascondere nulla».
«Certo, certo, come no. Padre, io… Ebbene, io abito in un palazzo qui vicino. Proprio davanti al mio appartamento, da qualche mese, vive una famiglia che non credo sia originaria di qui. Parlo della famiglia Goretti».
«Oh, sì, li conosco. Sono brave persone, oneste. Vengono sempre a messa la domenica mattina. A te invece, caro figliolo, non ti ho mai visto prima».
«Io, padre… Io non credo. Non ho mai creduto, neppure da ragazzino, quando frequentavo il catechismo. E quando giocavo a calcio, mentre entravo in campo mi facevo il segno della croce solo perché vedevo farlo ai calciatori in televisione».
«Ah… È forse questo il motivo della tua irrequietudine?».
«Ma no! No… Cosa vuole che me ne freghi della fede. La prego, padre, non mi interrompa, altrimenti me ne vado subito».
«No, figliolo, no. Non dire così, scusami. Continua pure, mi limiterò ad ascoltarti».
«Dunque, dove ero rimasto? Ah, sì. Lei mi ha detto di conoscere i Goretti, quindi di certo saprà che hanno una figlia».
«Certo, la piccola Maria. L’ho cresimata pochi giorni fa. Era così entusiasta di ricevere il sacramento. Nei suoi occhi brillava una luce…».
«Padre… Oddio! Padre… Io… Io ho abusato di quella ragazzina».
«Co-o-osa? Che cosa hai fatto tu?».
«Ha capito bene! Non me lo faccia ripetere due volte! È già stato difficile e doloroso confessarlo».
«Oh Signore benedetto! Come hai potuto, figliolo? Insozzare quella giovane creatura…».
«Non mi chiami più figliolo! Non lo so… Io… Io non so come ho fatto. Io non lo so come è potuto accadere. Ah, se potessi tornare indietro, a quel maledetto momento, mi fermerei! E non distruggerei quella giovane e innocente vita…».
«Come hai potuto cedere così ai tuoi istinti più brutali, feroci, animaleschi? Figliolo… Sei un uomo maturo, forse hai anche una moglie, dei figli».
«No, no, no, non ho nessuno, non ho nessuno. E poi anche a quarant’anni suonati… Come… Come se dipendesse dall’età, dalla maturità. Padre, io… Io non vivo più. Il pensiero di aver violato una creatura così pura, incontaminata, mi schiaccia!».
«E questo è un bene! Significa che almeno ti sei pentito. Almeno… Ma come è potuta accadere una simile disgrazia? Come ti sei potuto rendere protagonista di una tale, inaudita porcheria? Come hai potuto compiere una simile bassezza? Oh, buon Dio misericordioso».
«Dalla prima volta che l’ho vista, oramai mesi fa, ho provato per quella ragazzina, che non oso neppure chiamare per nome, una sorta di passione morbosa. Ogni volta che la vedevo, sentivo formarsi dentro di me un incendio. Un incendio indomabile, che cresceva giorno dopo giorno, come sospinto da un vento invisibile, ma potente. Ho lottato con tutte le forze contro me stesso per reprimere quel desiderio che mi ossessionava mattina e sera, mortificandomi, insultandomi, gridandomi dritto in faccia, allo specchio, che era tutto sbagliato. Che io, un uomo di quarant’anni oramai finito, non potevo bramare con così tanta ferocia il corpicino immacolato di una tredicenne. Mi sono persino sputato addosso, da solo, glielo giuro, ma non è servito a niente. No, non è servito a niente… Ho lottato contro questa passione perversa, disumana, ho lottato contro la mia assurda depravazione, ma ho perduto. Ho perduto tutto. Oddio cosa ho fatto! Di cosa sono stato capace! Due giorni fa, quando l’ho vista sola in casa, con una scusa qualunque mi sono fatto aprire. Sono entrato nel suo appartamento, mi sono chiesto se… Mi sono chiesto se potevo fermarmi, se potevo evitare quella carneficina, ma… Era una situazione così invitante, così propizia. Attendevo da settimane quell’istante e… Non ho resistito. No, non ce l’ho fatta a resistere. Che io sia maledetto! Le fiamme mi avevano oramai avvinto del tutto. Come un animale schifoso e viscido mi sono avventato su di lei quand’era di spalle. Con una mano le ho tappato la bocca, con l’altra le ho strappato di dosso i pantaloni. poi l’ho afferrata per quei suoi capelli del colore del rame e…».
«Basta! Per carità, basta! È il diavolo che parla per bocca tua!».
«Del resto non mi ricordo altro. Ricordo solamente che subito dopo quell’atto scabroso provai… Oddio, che vergogna!».
«Cosa provasti?».
«Provai un’enorme soddisfazione… Un’estasi perfetta. Mi sentii come in Paradiso».
«Co-o-sa? Ah, sei un demonio!».
«Durò solo un attimo, lo giuro, ma, lì per lì, fu l’attimo più bello della mia vita. Poi tornai in me, capii di quale orrendo crimine contro l’umanità mi ero macchiato e fugii. La sentii piangere. Piangere sommessamente, come se si vergognasse di se stessa, come se la colpa fosse la sua… Da allora non sono più tornato a casa. Da due giorni vago per la città come uno spettro, non mangio e non dormo. Inizio a puzzare come un cadavere in stato di putrefazione. Mi faccio così schifo… Il suo pianto sommesso mi tormenta, mi perseguita, lo sento rimbombare in continuazione dentro le mie orecchie. Mi fracassa la testa come un martello, anzi, come un piccone, anche adesso, anche in questo momento. Mi strappa il cervello e me lo schiaccia saltandoci sopra. Sento che quel lamento potrebbe uccidermi, e ora ho una paura fottuta di tornare là».
«Oh Signore benedetto…».
«Padre, la prego, mi dica lei cosa devo fare».
«Devi chiedere perdono».
«Ma a chi? A chi? Come posso rivolgermi ancora a quella ragazzina dopo quello che è successo? Come posso farlo?».
«Devi, devi farlo, non hai altra via di scampo. Devi tornare là e inginocchiarti ai piedi di Maria, dei genitori, del mondo e di Dio».
«Ma quale Dio e Dio! Basta con questo Dio! Io non credo in nessun Dio, tantomento nel tuo! Ah, maledetto me…».
«Moderati! E allora perché, debosciato, perché sei venuto proprio nella casa del Signore a confessare questo orrendo peccato di cui ti sei macchiato? Perché?».
«Perché dovevo dirlo, perché dovevo confessarlo a qualcuno. Se mi fossi tenuto ancora per qualche ora questo devastante macigno sulla coscienza, da solo, mi sarei ammazzato. E a chi potevo parlarne, senza temere conseguenze, se non a un prete?».
«Non lo capisci che è la volontà di Dio? Egli ti ha condotto nella sua casa, dinanzi ad un suo umile servitore. Il Signore ti abbraccia, ti accoglie nel suo grembo, e proprio nel momento in cui ne hai più bisogno».
«E perché questo tuo fantomatico Dio non è intervenuto quando lei ne aveva bisogno, eh? Perché non mi ha fulminato, non mi ha incenerito, non mi ha annientato mentre stavo per avventarmi sulla ragazzina, mentre stavo per tapparle la bocca e strapparle i pantaloni di dosso? Eh? Perché? Rispondi, porco…».
«Non bestemmiare! Figliolo, quella creatura vive nel timore di Dio ed è già salva, ha già un posto nel regno dei cieli, mentre tu, tu per ottenere la salvezza dovevi proprio macchiarti di questo delitto. Lo capisci?».
«Dannati preti! Dannati fanatici! Dannati mercanti! Io sputo su di voi! Puah! Rappresentate tutto ciò contro cui Cristo ha combattuto… Schiavi dell’agiatezza e del benessere! Per voi a tutto c’è una risposta, una via d’uscita. Eh, eh, eh, troppo facile, cari miei! E il suo dolore? Il dolore della ragazzina? Che colpa ne aveva lei?».
«Lei è stata un mezzo di cui si è servito il Signore per agire su di te. Lei lo capirà. Lei lo ha già capito. Lei è una martire».
«Bel Dio il tuo! Che si serve degli innocenti e degli indifesi, li scotenna come maiali per redimere i depravati! Va’ al diavolo tu e il tuo Dio! Che siate maledetti entrambi!».
«Dove vai, figliolo? Fermati, ti prego».
«Addio, mercante!».
«Non fare sciocchezze! Implora in ginocchio il perdono e torna, torna nel grembo del Signore! Sei sull’orlo del precipizio!».
Lo stupratore, ritrovato il coraggio dopo aver confessato il delitto, si diresse a spron battuto verso casa, continuando a maledire a dentri stretti se stesso, quel prete e il suo Dio. “Fottuti prelati! Con quelle vostre storielle sul perdono, sulla misericordia, sulla provvidenza e sulla grazia, siete nocivi al mondo tanto quanto lo siamo noi maniaci”, borbottava tra sé spruzzando dalla bocca deformata schizzi di saliva. Nel frattempo nelle sue orecchie il pianto sommesso della piccola Maria aumentava di volume, rimbombando sordo come un tuono continuo. L’uomo camminava svelto, per poco non correva, tappandosi le orecchie, scuotendo la testa, ma non serviva a niente. Ogni sforzo era vano, il lamento straziante della vittima cresceva, cresceva a dismisura ogni secondo di più e lo stava quasi per abbattere, proprio in mezzo alla strada. Nell’istante in cui questo moderno Svidrigajlov [1] stava per cacciare un urlo di disperazione e cadere in ginocchio sull’asfalto umido – era infatti piovuto fino a qualche istante prima – il pianto di Maria di colpo cessò.
Senza accorgersene il pedofilo era giunto dinanzi al palazzo nel quale si trovava il suo appartamento. Nel cortile c’era una gran folla, che quattro agenti di polizia faticavano a contenere. Il carnefice sentì un brivido gelido e terribile percorrerlo dalla testa ai piedi. Aveva un funesto presentimento, e non si sbagliava.
Dopo due giorni di febbre e di delirio, la piccola Maria, la martire, si era lanciata nel vuoto dalla finestra della sua cameretta, ponendo così fine alle sue atroci sofferenze. Sulla scrivania aveva lasciato un bigliettino rosa, sul quale aveva scritto, con la sua calligrafia ampia e flessuosa, tipica delle ragazzine:

«Lo perdono. La colpa è mia. Solo mia».

NOTE

[1] Personaggio del romanzo Delitto e castigo (1866) di Dostoevskij.

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Informazioni su Simone Germini

Classe 1989, dopo il diploma di liceo scientifico mi iscrivo alla facoltà di Lettere presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, dove mi laureo nel luglio del 2015 con la tesi «Figlie della crisi. I personaggi femminili di Heinrich von Kleist», pubblicata sulla rivista «Le rotte - Il porto di Toledo». Sempre presso lo stesso ateneo, nel settembre del 2017, conseguo la laurea magistrale in Filologia Moderna, con la tesi «Con le parole guerra alle parole. Linguaggio e scrittura in Carlo Michelstaedter». Dal 2012 al 2018 sono stato caporedattore del blog «Freemaninrealworld». Insieme con Lorenzo Pica, Raffaele Rogaia e Marco Zindato ho fondato il sito iMalpensanti.it. Sul blog «Bazzecole» i maldestri tentativi di scrittura creativa. Per info e contatti simonegermini@yahoo.com.

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