Gli sconfitti – Il Miserabile

La disfatta

Lei un metro e ottantuno.
Lui centosessantotto centimetri scarsi.
Lei modella vanitosa con innumerevoli pretendenti.
Lui semplice studente, dall’indole nichilistica, con qualche velleità letteraria. Non ha una relazione, né un semplice rapporto con una donna da tre, forse addirittura quattro anni.
Lei ventuno anni.
Lui ventiquattro.
Lo scenario: uno splendido giardino, un paradiso botanico nascosto nel cuore caotico di Roma.
Tredici aprile, piena primavera. Ore dodici circa, sole alto e piacevolmente caldo.
Lui, il Miserabile, è all’oscuro della vita di lei. L’ignoranza lo rende intraprendente.
L’inizio è incoraggiante. Lui le accarezza il volto delicatamente. Con il tocco lieve di sottili dita innamorate contorna prima le sue labbra leggermente screpolate, per poi passare al petto straordinariamente levigato, come marmo.
Nel frattempo il Miserabile ammira gli occhi di lei. Mai visti prima degli occhi così ferocemente azzurri. Due oceani.
Lei accarezza la testa rasata di lui con movimenti ondosi che causano enorme piacere.
È il momento giusto. Adesso o mai più.
Deciso il Miserabile si erge dalla panchina e inizia a baciarle con desiderio, con ardente passione il collo sinuoso, scolpito. Lei prova piacere. Lui giunge fino all’orecchio.
“È fatta”, pensa il Miserabile, illudendosi di aver già trionfato. A spron battuto si lancia come un falco affamato sulle labbra di lei, deliziosa e prelibata preda.
Lei lo evita con agilità, con prontezza.
Lui non demorde.
Il Miserabile ricomincia daccapo, dal collo. Questa volta la bacia con maggiore insistenza, con maggiore ardore.
Lui brama più di qualunque altra cosa lei.
Lei non si capisce bene che cosa brami, forse solo un’incondizionata devozione, nient’altro.
Riecco che il Miserabile si lancia sulle sue labbra, ancor più deciso di prima.
Lei evita veloce quella bocca così volenterosa, così bisognosa d’amore, voltando con un movimento rapido, secco e incomprensibile, il magnifico capo. Poi addirittura si alza ed esclama sorpresa, come se volesse prendersi gioco del povero e folle seduttore:
«Perché vuoi rovinare la nostra amicizia?».
Una disfatta senza precedenti.
Il Miserabile, abbattuto, spezzato, annichilito da quelle parole prive di senso, china il capo, sorride mestamente, si alza, e se ne va.

Il brindisi

In una squallida e fatiscente stamberga, illuminata da un orribile lampadario, presenziano alla cena organizzata da un indegno, oramai pure disilluso, Miserabile, le più illustri personalità dell’esistenza umana, tutte agghindate in pompa magna, ovvero come se stessero partecipando ad una dolente cerimonia funebre.
In scrupoloso ordine alfabetico: Abbandono, Angoscia, Apatia, Disperazione, Dolore, Follia, Inquietudine, Melanconia, Mestizia e Solitudine. No, Morte no, sebbene possiate credere il contrario, non gli piace apparire in tali circostanze mondane.
Nel vuoto di tempo creato dall’attesa per un secondo pasto che non esiste – ma nessuno ancora lo sa – il Miserabile, rigorosamente accomodato al capo della tavola scarna, diciamo pure “essenziale”, si alza tenendo in mano il calice di plastica, e prende la parola:
«Signori, scusate. Per favore, un istante di attenzione. Scusate…».
Dopo diversi minuti di indifferenza, il brusio si cheta senza troppa convinzione, come interrotto da un fastidioso ronzio d’insetto.
«Grazie, eminenti ospiti. Vorrei proporre un brindisi. Alla mia ultima…».
«Pardon, nobil messere anfitrione», lo interrompe senza troppi complimenti uno degli eminenti astanti, «oltre che con questo eccellente vino rosso dozzinale, intende accompagnare con altro il suo brindisi?».
«Certo, certo. Con una prelibata citazione estratta dal Mestiere di vivere di Cesare Pavese, annata 1952».
«Oh, oh! Ottima scelta, deliziosa. Prego proceda pure».
«Grazie. Dunque…».
Il Miserabile prende tempo schiarendosi timidamente la voce.
«Dunque, propongo questo caloroso e sincero brindisi alla mia ultima, e posso dire con certezza e con orgoglio, più trionfale disfatta amorosa! Alla mia Caporetto!».
Tripudio.
Tra i presenti schioccare di palmi di mano lanciati l’uno contro l’altro, fischi e ululati.
I dieci spettri fanno il chiasso di una folla numerosissima.
Visibilmente emozionato, persino una lacrima gli riga il volto cadaverico, il Miserabile conclude, con grande fatica, il proprio ridicolo e drammatico intervento citando Pavese: «Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, amore, disillusione, destino, morte».

Ad un compleanno

Si attende la mezzanotte e il festeggiato brandisce in aria una bottiglia che sta per scoppiare. Le ventitré e cinquantanove. Il minuto più lungo.
Si osservano spazientiti gli orologi, le cui lancette adagio, troppo adagio procedono, come impegnate in un sacro pellegrinaggio anziché in una folle gara di velocità.
Scoccata l’attesa ora, il tappo della bottiglia rimbalza contro l’unico angolo illuminato della stanza, come fosse un’innocua e soffice palla di cannone. In un istante un tripudio di auguri, congratulazioni e ringraziamenti. Versato nei piccoli bicchieri di vetro, lo spumante viene distribuito con accuratezza a ognuno dei presenti, in vista del grande e solenne brindisi. Decine di braccia protese verso l’alto, che culminano nei calici scintillanti e colmi, esclamano all’unisono un forte: «Auguri!».
Fra i ridenti astanti ce ne è uno che poi tanto ridente non è, il Miserabile, nascosto in un angolo in penombra della piccola sala, quasi invisibile.
Dopo aver osservato, più che avervi partecipato, l’inviolabile rituale del brindisi, un pensiero gli sorge spontaneo dalle viscere, risale le profondità e si arresta dietro le labbra serrate, premendo come un ossesso per uscire all’aria aperta.
Non potendo contenere il desiderio di comunicare, il Miserabile si rivolge allo sfortunato interlocutore che gli è accanto: «Quante esistenze inutili concentrate in dieci metri quadrati… Il mondo potrebbe benissimo fare a meno di ognuno di noi».
Come contraddirlo? La sua è una sacrosanta verità. Eppure, fra tutti i numerosi presenti, è il solo ad averne la consapevolezza. Ed è ciò che lo rende il Miserabile. Lui solo, in un momento di estrema spensieratezza, per alcuni degli astanti persino di gioia, per altri al massimo d’indifferenza, può concepire, fra l’altro con tanta compiacenza e soddisfazione di sé, un simile, fastidioso e odioso pensiero. E non solo concepirlo, ma persino comunicarlo allo sfortunato interlocutore che gli sta affianco, aggravandone così, colpevolmente, un istante senza peso.

Il ritorno a casa

Torna a casa il Miserabile. È notte e la città è avvolta in una coltre di sonno e di silenzio. Cammina lentamente per le strade deserte e scarsamente illuminate dai lampioni sparuti, il Miserabile. Non è solo, ma in compagnia della sua fedele e sommessa compagna, Mestizia. Lei gli cammina accanto senza proferire una sola parola, senza lasciarsi scappare neppure un sussurro. Non occorre che gli ricordi la sua presenza, lui la sente ben salda al suo fianco.
Mestizia non è una donna particolarmente bella né attraente, anzi, è piuttosto brutta. Diversi centimetri più alta del basso Miserabile, ha un fisico rachitico, molto simile ad un’unica linea retta, priva di curve, che la rende l’antitesi di un’ideale dea della fertilità. Indossa sempre lo stesso vestito nero. Nero come i capelli lunghi, crespi e indomabili, ma non per questo affascinanti. Nero come i suoi occhi spenti, protesi spesso nel vuoto, e incastonati in un volto scarno e cadaverico, dalle guance tanto incavate da sembrare sepolcri sgombri. Un volto solcato da profonde occhiaie nere perpetue, e al centro del quale si erge imbarazzato un naso piuttosto lungo, sottile e uniforme. Un solo elemento definibile bello caratterizza Mestizia, ed è la pelle. Una pelle estremamente levigata e diafana, a tratti persino trasparente, attraverso la quale è possibile distinguere le singole, piccole e scure ramificazioni venose.
Mestizia si è presentata al Miserabile un giorno qualunque. Lui l’ha subito accolta con sorrisi rassegnati e carezze lievi, e i due non si sono più lasciati, uniti in un singolare connubio lugubre, che non fa altro che ricordare al Miserabile, quotidianamente, l’irreversibile solitudine e la desolata pochezza nelle quali consuma in fretta la sua inutile esistenza.
Dicevo, torna a casa il Miserabile, e con lui Mestizia.
All’improvviso l’uomo si ferma dinanzi un’aiuola variopinta, nella quale numerosi fiori di più varietà colorano l’angolo desolato della via che stanno percorrendo. Il Miserabile li osserva per qualche istante, e Mestizia con lui (ne è di fatto l’ombra). Dopo la breve e assorta contemplazione l’uomo estrae da una tasca del cappotto consunto, troppo grande per la sua modesta taglia e troppo pesante per la stagione, l’affilata e macilenta mano destra. Con accuratezza estirpa dall’aiuola un piccolo e delizioso fiore giallo luminosissimo, che porge con un goffo e buffo inchino alla compagna, sussurrandole un elegante: «Madame…».
Mestizia, senza alcun entusiasmo, afferra il fiore e lo infila tra i capelli. Gli increspati fili d’ebano e il giallo acceso del fiore danno vita ad un contrasto cromatico splendido, esplosivo, quasi soprannaturale.
Il Miserabile ammira lo spettacolo compiaciuto.
Dopo pochi secondi però il fiore appassisce, perde vitalità divenendo immediatamente malsano, marcio. Un sorriso di cupa rassegnazione attraversa le labbra sottili dell’uomo che, in seguito all’orribile e inevitabile metamorfosi, riprende il cammino verso casa. Mestizia lo segue ancora silenziosa, lasciando che il fiore tra i capelli pian piano si decomponga, non lasciando alcuna traccia della sua breve presenza.
Mestizia non è una donna particolarmente bella né attraente, anzi, è piuttosto brutta, ma il Miserabile l’ha amata con trasporto e convinzione dal primo istante in cui gli è apparsa, consapevole di non poter aspirare ad altro nella sua vita inutile.

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Informazioni su Simone Germini

Classe 1989, dopo il diploma di liceo scientifico mi iscrivo alla facoltà di Lettere presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, dove mi laureo nel luglio del 2015 con la tesi «Figlie della crisi. I personaggi femminili di Heinrich von Kleist», pubblicata sulla rivista «Le rotte - Il porto di Toledo». Sempre presso lo stesso ateneo, nel settembre del 2017, conseguo la laurea magistrale in Filologia Moderna, con la tesi «Con le parole guerra alle parole. Linguaggio e scrittura in Carlo Michelstaedter». Dal 2012 al 2018 sono stato caporedattore del blog «Freemaninrealworld». Insieme con Lorenzo Pica, Raffaele Rogaia e Marco Zindato ho fondato il sito iMalpensanti.it. Sul blog «Bazzecole» i maldestri tentativi di scrittura creativa. Per info e contatti simonegermini@yahoo.com.

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