Roma, ne l’aer tuo lancio l’anima altera volante:
accogli, o Roma, e avvolgi l’anima mia di luce.Giosuè Carducci, Roma, in Odi barbare, 1877.
Piazza di San Calisto
Tra la giovanile moltitudine
spalle alla chiesa ove
Callisto I papa, patrono
degl’impiegati nei cimiteri,
scaraventato in fondo ad un pozzo
subì il popolano martirio.
Chiodo scaccia chiodo,
eppure il dolor,
lungi dall’addio,
perdura.
***
Campo de’ Fiori
Osservo la piazza spoglia, semi deserta.
Le tre del mattino,
e solo qualche fastidioso superstite
ed il rumore dei mezzi
della nettezza urbana,
al lavoro.
Tutte le imposte
dei secolari palazzi circostanti
sono sbarrate, addormentate,
perdute negli inestricabili labirinti
dell’universo onirico.
Osservo il monumento bronzeo,
l’alta, austera figura ammonirmi,
come il volto severo ogni giorno
ammonisce ed ammutolisce
la Chiesa omicida.
Immagino quel giorno,
quel lontano diciassette febbraio,
Bruno, lingua in giova,
denudato ed affisso ad un palo
dimenarsi e soffrire, carbonizzato
dalle fiamme alte del rogo,
orribile.
Immagino il demonio celato
tra la moltitudine entusiasta
assistere al dramma e
provare sottile amarezza.
Immagino le ceneri polverose
gettate con disprezzo
nel Tevere, nuotare e presto
svanire nell’oblio profondo
delle acque errabonde.
Le vedo. Le sfioro.
Mi chiedo in quanti,
ebbri e sciocchi frequentatori
di Campo de’ Fiori
conoscano la storia del filosofo.
Una voce, rassegnata e stanca mi risponde:
Nessuno.
Nessuno sa cosa accadde
nel luogo in cui schiamazza ed annega,
nessuno,
ma io si, ed indicibilmente soffro
rimembrando la storia,
seduto qui,
ove il rogo arse.
***
Santa Maria dell’Orazione e Morte
I
L’unica lampada perpetua,
la sola il cui lume mai muore,
è quella severa del camposanto.
Imperturbabile rischiara tutta
la disperazione dei morti sepolti
nei sepolcri profondi dimenticati da dio.
II
Osservo Santa Maria dell’Orazione e Morte
e tutte le voci dei poveri morti,
in campagna pigliati,
silenziosi nel Tevere annegati,
terribili ed impetuose
mi giungono alle orecchie,
turbando la notte fin ad allora serena,
sfigurando l’incantevole Via Giulia
in un fitto e spaventevole groviglio
di lamenti ed ossa e scheletri,
dal quale fuggire è un’odissiaca impresa.
La sepoltura non placò
la loro collerica rabbia,
né la loro inenarrabile sofferenza.
***
Nenia romana
Un’armoniosa nenia funebre
percorre le sinuose strade di Roma.
Affonda il sommesso respiro
nell’umido sottosuolo del Colosseo,
effondendo la sua melanconica melodia
nelle torbide acque del Tevere,
assopito lungo un secolare sogno di storia
di tanto in tanto rinnovato dalla pioggia,
nel silenzioso colonnato di San Pietro,
nelle austere cripte delle innumerevoli chiese,
nel gaio frastuono degli acciottolati
vicoli di Trastevere fin a notte fonda
fiorenti di vita.
E poi ancora nelle imposte
degli antichi palazzi e
nelle chiome degli altrettanto antichi platani,
nei resti degli imperiali fori
e nelle stanze dell’adrianeo mausoleo,
morendo infine nell’imperscrutabile oscurità
delle sotterranee catacombe.
Ed il poeta nella romana litania scopre
il suo tragico canto d’infinito,
il suo lugubre destino di vespero.
Ed il poeta in Roma scopre
il suo sacrosanto sepolcro.