Una visione dal passato

Seduto in giardino fumo avidamente la prima sigaretta della giornata. Fisso il vuoto ed intravedo un ragazzo. Un ragazzo di quindici, forse sedici anni, solo, che all’uscita da scuola aspetta, seduto su di una panchina di marmo imbrattata da scritte infantili, situata accanto ad un pino antico, l’autobus che lo riporterà a casa. Piuttosto gracile, indossa una giacca rossa di una taglia più grande, e osservando l’asfalto consumato, pensa. Pensa al suo primo, folle amore, alla ragazza che lo sta iniziando al dolore.

Dopo una mezzora circa di attesa, ecco spuntare in fondo alla via, tra gli orribili palazzi, la sagoma goffa e borbottante del vecchio mezzo di trasporto. Dopo aver salutato il conducente, tale Bruno, uomo di mezza età con una passione recondita per le giovani studentesse che ogni giorno trasporta, sale a bordo e si siede nel posto centrale, traballante dell’ultima fila dell’autobus, sentendosene un poco il padrone.

C’è tanta distanza tra l’istituto scolastico frequentato dal ragazzo e la sua casa. Per percorrerla con quel catorcio d’altri tempi sono necessari circa tre quarti d’ora di viaggio. Tempo in abbondanza, da dedicare alla lettura delle poesie di Baudelaire – l’idolo del giovane – e ad un’approfondita analisi interiore riguardo l’impetuosa tempesta amorosa che lo sta investendo, per la prima volta nella sua breve e comune esistenza. Una tempesta che smuove sentimenti nuovi, ignoti, straordinariamente travolgenti e dolorosi.

Abbandonata dopo qualche chilometro la raccolta di versi Les fleurs du Mal, lo sguardo del ragazzo è sempre proteso al di là del finestrino sporco, immerso nella contemplazione della vita che anima le strade soleggiate, attraversate da innumerevoli automobili fastidiose. Catturato dall’incredibile visione, assorbito totalmente in essa, non abbandono il giovane neppure per un istante.

Ecco che l’autobus si ferma, lungo una strada provinciale perduta nella campagna. Dopo aver salutato il conducente con un laconico «A domani», il ragazzo scende, attende la ripartenza del mezzo ed attraversa, dopo il passaggio di un paio di bolidi lanciati a folle velocità. Lo vedo camminare adagio nel mezzo della via in cui si trova la sua abitazione, nel silenzio magnifico, nella desolazione assoluta della campagna. A testa bassa, prende a calci un ciottolo. Lo illumina il sole rigenerante della primavera.

Lo vedo svoltare nella stradina sterrata, e richiamare inutilmente l’attenzione di un gatto sornione, incurante della sua modesta presenza. Si avvicina. Lo perdo di vista, eppure lo sento entrare in casa. Non c’è nessuno. I genitori sono entrambi a lavoro, la sorellina a scuola. Lo attende un piatto di pasta oramai gelida, preparata in fretta dal padre durante la breve pausa pranzo.

Entro anche io, silenziosamente, senza farmi notare, in casa. Mi è vicino. Si toglie lo zaino, lo posa a terra, poi la giacca rossa, che appende diligentemente. Quella giacca proprio non gli piace, ma a sua madre che gliel’ha regalata con tanto affetto e convinzione non lo dirà mai. Entra in cucina e stavolta lo seguo. Ho un nodo alla gola. Dopo aver messo la pasta, un unico blocco troppo duro, nel piatto di plastica si siede e finalmente mi vede.

Non sembra affatto sorpreso. Mi sorride ed il suo sorriso esprime un affetto sconfinato, che non ho mai visto prima. L’espressione del suo volto è incredibilmente serena, spensierata. Senza dirmi niente, solo guardandomi negli occhi mi rivolge una preghiera compassionevole: «Ti prego, non dirmi come andrà a finire.»

Io piango. Ed è un pianto che reprimo a stento. Vorrei parlargli, rassicurarlo del fatto che non gli dirò nulla, ma le lacrime reprimono questa volontà serrandola in fondo alla gola. Improvvisamente il ragazzo scompare. Mi volto di scatto, in cerca dello zaino e della giacca rossa. Non c’è più niente. Niente. Resto solo in cucina, con nel cuore una nostalgia immensa. Ritrovo un filo sottilissimo di voce con il quale riesco a produrre nient’altro che un fragile sussurro: «Tranquillo ragazzo, non ti dirò niente.» Mesto, quasi avvilito me ne torno fuori in giardino, al sole. Ho bisogno di un poco di aria pura, fresca.

Caro Lettore, lo avrai capito, quel ragazzo sono io più o meno dieci anni fa. Allora la vita era migliore, oggi non è che un groviglio inestricabile d’angoscia e di dolore. E quei giorni sono perduti per sempre. Non so cosa darei per tornare indietro.

Scritti vari , , ,

Informazioni su Simone Germini

Classe 1989, dopo il diploma di liceo scientifico mi iscrivo alla facoltà di Lettere presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, dove mi laureo nel luglio del 2015 con la tesi «Figlie della crisi. I personaggi femminili di Heinrich von Kleist», pubblicata sulla rivista «Le rotte - Il porto di Toledo». Sempre presso lo stesso ateneo, nel settembre del 2017, conseguo la laurea magistrale in Filologia Moderna, con la tesi «Con le parole guerra alle parole. Linguaggio e scrittura in Carlo Michelstaedter». Dal 2012 al 2018 sono stato caporedattore del blog «Freemaninrealworld». Insieme con Lorenzo Pica, Raffaele Rogaia e Marco Zindato ho fondato il sito iMalpensanti.it. Sul blog «Bazzecole» i maldestri tentativi di scrittura creativa. Per info e contatti simonegermini@yahoo.com.

Precedente L'addio di un giovane poeta ignoto Successivo Quando non resta che morire