Memorie dal nulla – Prima parte. Il nulla – X

Molti di voi, gli psicologi da quattro soldi, leggendo queste pagine mi giudicheranno depresso, lo so. Non è possibile che un uomo rinunci alla vita perché consapevole della sua insensatezza. È spaventoso, disumano. La parolina depressione invece, come una formula magica, spiega tutto, riconduce tutto a una dimensione normale e comprensibile, umana e razionale. Un uomo si uccide: era depresso. Semplice, veloce, comprensibile. Non c’è altro da aggiungere.
Nel mio caso, sono stati i reiterati fallimenti successivi alla conclusione della carriera universitaria, l’incapacità di trovare un lavoro conforme alle mie attitudini, gli insuccessi con le donne a sprofondarmi nella depressione. Più semplice di così. Se avessi vinto il concorso come ricercatore, se avessi trovato una donna decente disposta ad amarmi sarebbe cambiato tutto. Ma non è così. Un tempo, lo confesso, credevo anch’io che fosse così, che lo studio, la scrittura e una donna mi avrebbero salvato la vita, ma poi ho capito, e non mi è mai stato così chiaro come in questo momento, che possono cambiare le circostanze, le contingenze, ma la sostanza non cambia, mai. Il lavoro più soddisfacente, il successo, il denaro, l’amore di una donna devota e magari anche bella non conferiscono un senso alla vita, non rendono un uomo migliore, ricco, utile o persino necessario. Alla consapevolezza e al nulla non c’è cura.
Nella vostra incoscienza, nella vostra povertà di spirito, nella vostra paura fottuta della verità tendete a normalizzare tutto, riconducendo ogni evento-limite a luoghi comuni, a concetti vuoti come la follia, la depressione. Per mantenere intatto il vostro piccolo e sporco mondo vi arrestate alla superficie, all’apparenza, senza indagare in profondità. Provate a indagare voi stessi e gli altri, una volta tanto, e troverete l’orrore, troverete me.
Un uomo ruba le ceneri di una donna e non è altro che un pazzo maniaco pericoloso per la società. La società… una rete di pregiudizi, di luoghi comuni, di convenienze, di menzogne che intrappola l’individuo sin dalla nascita, allontanandolo per sempre dall’essenziale, dalla sua essenza più profonda e dalla verità. Un uomo non ha la vocazione del marito e del padre, ne è sprovvisto, ma, per assecondare i costumi sociali, si sposa e mette al mondo dei figli: nella sua vita farà più danni della grandine. Eccola la vostra società, è tutta qui, nella coercizione sistematica dell’individuo, pena l’esclusione, l’emarginazione. Non sono mai stato capace di adeguarmi, di uniformarmi ad essa. In ogni singolo divieto ho visto un’opportunità di arricchimento, di crescita, di formazione. Ho infranto le regole, ho rotto la tradizione, distruggendo un intero mondo, il vostro mondo, ma incapace di ricostruire dopo aver raso al suolo tutto. La libertà è uno stato di distruzione permanente, almeno per me.
Certe notti vi svegliate di soprassalto da un incubo. Spalancate gli occhi e vi ritrovate immersi nelle tenebre. Respirate a fatica, come se una mano possente vi stringesse la gola. La paura vi irretisce e annaspate, cercate l’interruttore della lampada che sta sul comodino, ma l’angoscia vi toglie la lucidità e non lo trovate. Urtate la lampada con il braccio e questa cade, frantumandosi in migliaia di pezzi. Il rumore, assordante nel silenzio assoluto, alimenta la vostra paura, la vostra angoscia e vi rintanate sotto le coperte, che tirate fin sopra la testa. Attorno a voi è il buio, il nulla. Voi stessi siete nulla. In questo istante spaventoso non avete né passato né futuro, non avete una storia, non avete una vita: siete niente. Temete di morire, temete di impazzire, ma siete già morti e pazzi. Tutto ciò che avevate, tutto ciò che vi circondava si è sgretolato di colpo, la terra si è spalancata sotto i vostri piedi e precipitate giù, giù, in un abisso senza fine. Il vostro corpo si allunga a dismisura, non sentite più le gambe, i piedi, le mani. Vi siete dissolti, come si dissolve un meteorite entrando nell’atmosfera. Non vi resta che una piccola massa grigia e muffa, il cervello, stretto dalla paura e dall’angoscia come da una morsa, ma così forte che temete possa scoppiare e ridursi in poltiglia.
Non dura molto. Presto vi soccorre il sonno e vi ricostruite a poco a poco. Al mattino vi svegliate come se niente fosse, nel pieno possesso delle facoltà mentali, sicuri di voi. Vi rammaricate appena che la lampada sia andata in frantumi, senza conservare neppure un ricordo vago dell’incubo, della paura, dell’angoscia, del nulla.
– Che peccato… il regalo di zia Concetta per i venticinque anni di matrimonio… – sospirate raccogliendo i pezzi della lampada distrutta.
Ecco la differenza tra me e voi: per me quell’incubo non è mai terminato, sono rimasto intrappolato nel buio e nel nulla, un nulla io stesso.
Sono un corpo estraneo tra di voi. Sono certo che un alieno gettato nel mondo non si sentirebbe in un modo molto diverso da come mi sento io. Mi concedo un’uscita serale alla settimana, per scambiare quattro chiacchiere con gli amici e bere un paio di birre, sempre allo stesso locale. I miei amici parlano, parlano, mentre io perlopiù mi guardo attorno, osservo la fauna umana che mi circonda, così ridente, divertita, persino euforica in alcuni suoi componenti. Cos’hanno da ridere? Sembrano tutti così soddisfatti di loro stessi, delle loro vite. Sembrano persino felici. Felici di passare del tempo con gli amici, di ubriacarsi e di fumare una sigaretta dopo l’altra. L’incoscienza ridimensiona le aspettative: nel niente ci si accontenta di poco. Per quanto mi sforzi, non riesco a trovare, in nessuna di queste persone, un mio simile. Come possiamo appartenere alla stessa specie? Loro sono una cosa, io un’altra. Sebbene mi trovi in mezzo a loro, sono in realtà da tutt’altra parte, ramingo in un deserto di disperazione. Ignorano che in mezzo a loro ci sia il nulla. Sono il loro buco nero: li osservo, li ascolto e li assorbo nel mio niente.
Una donna, che trovo particolarmente attraente per qualche recondita ragione impossibile da spiegare, attira la mia attenzione. Punto lo sguardo su di lei e la ammiro come un’opera d’arte, senza desiderio. Il Giudizio universale di Michelangelo si ammira, ma non si desidera, perché è impossibile desiderare ciò che non si può avere. Questa splendida donna dai capelli biondi, dalla pelle chiara, dai lineamenti del volto che mi parlano d’amore, non mi apparterrà mai. Non ho mai biasimato nessuna donna per avermi rifiutato. Mi metto nei loro panni e mi giudico dal loro punto di vista: amare un essere come me non è possibile. La mia immagine riflette tutta la mia miseria interiore e fa spavento. Io sono il nulla, nel mio corpo dimagrato, nel mio sguardo smorto e il nulla attrae solamente se si ha la certezza di uscirne vivi o di morire: chi si getta in un abisso ha un paracadute oppure vuole uccidersi. Non ci sono alternative e nessuna di queste è compatibile con l’amore.
La folla che mi circonda beve, parla, ride, gioconda e soddisfatta. Io ne sono il cancro, ma benigno, facile da estirpare. Mi estirpo da solo, salutando gli amici, trascinando i miei chiodi pelosi fino alla macchina in una lenta via crucis. Nessun altro oltre me stesso è il responsabile della mia devastazione, non posso accusare nessun altro oltre me stesso del mio dramma. Sono io il mio Caifa, il mio Pilato, la mia croce. Sono sempre stato autoreferenziale, solo e unico, il giudice e l’imputato, il carnefice e la vittima, lo scrittore e il lettore. Mentre voi vi disperdete in decine di altre vite, io sono condannato all’ergastolo nella prigione di me stesso.
Una sola volta mi è stata data la possibilità di evadere, e ho detto no, perché possono cambiare le circostanze, le contingenze, ma la sostanza non cambierà mai, perché non c’è niente che conferisca un senso alla vita, neppure l’amore della donna ideale che per te è disposta a mettere in discussione tutto, a stravolgere la sua esistenza ricominciandone una nuova accanto a te. Neppure questo mi ha salvato, neppure questo mi ha strappato al nulla. Non c’era salvezza per me, nessuna possibilità di resurrezione.
Non mi resta che una volontà: la cremazione. Perché uno scheletro, per quanto putrido, per quanto fradicio, assomiglia pur sempre a un uomo, lo ricorda, mentre la cenere è il niente, la distruzione definitiva, permanente. Sono stato un uomo per troppo tempo e sempre mio malgrado perché possa accettare di restarne anche solo un ricordo dopo la morte.

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Informazioni su Simone Germini

Classe 1989, dopo il diploma di liceo scientifico mi iscrivo alla facoltà di Lettere presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, dove mi laureo nel luglio del 2015 con la tesi «Figlie della crisi. I personaggi femminili di Heinrich von Kleist», pubblicata sulla rivista «Le rotte - Il porto di Toledo». Sempre presso lo stesso ateneo, nel settembre del 2017, conseguo la laurea magistrale in Filologia Moderna, con la tesi «Con le parole guerra alle parole. Linguaggio e scrittura in Carlo Michelstaedter». Dal 2012 al 2018 sono stato caporedattore del blog «Freemaninrealworld». Insieme con Lorenzo Pica, Raffaele Rogaia e Marco Zindato ho fondato il sito iMalpensanti.it. Sul blog «Bazzecole» i maldestri tentativi di scrittura creativa. Per info e contatti simonegermini@yahoo.com.

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