I taccuini di Tarrou – 39

Le condizioni esteriori non mutano le questioni fondamentali. L’uomo è uomo ovunque, in ogni tempo, nel Medioevo come nella Modernità, in ogni condizione, nella pace come nella guerra, nella salute come nella malattia. L’uomo del sottosuolo spiega le insensate ostinazioni dell’uomo del XXI secolo: il capriccio individuale prevale sull’evidenza scientifica, sulla logica, sul cosiddetto bene comune. Per questo motivo, tra le tante fandonie concepite dall’uomo nel corso della storia, quella del progresso è la più sciocca. Non esistono rivoluzioni collettive, ma solamente rivoluzioni individuali. L’uomo può salvare esclusivamente se stesso, né è sua responsabilità ciò che fanno gli altri. Un individuo risponde solamente delle proprie scelte, delle proprie azioni. Ciò non significa deresponsabilizzarlo, anzi, perché la collettività, la comunità, come piace dire a a qualche benpensante oggi, è fatta di individui. Tutto ha inizio e fine all’interno del proprio io, ognuno è il primo e l’ultimo. Se poi all’individuo riesce di gettare un seme positivo nell’altro, tanto di guadagnato, ma che il seme attecchisca e germogli dipende dall’altro, non da colui che l’ha gettato. L’uomo ha il dovere di essere in pace con se stesso, con la propria coscienza – se gli riesce, allora è in pace con il mondo intero. Prospettiva egoistica? No, almeno nelle intenzioni, perché l’egoismo conduce, consapevolmente o meno, al male, e nel male non c’è pace. Recuperare un’autentica e pura dimensione individualista significa emanciparsi dall’egoismo e dal male, e trovare pace. Allora si diviene indifferenti alla solitudine e persino alla fame.

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