I taccuini di Tarrou – 296

Ripenso a Ottilia ed Edoardo, alla loro storia, al loro amore. In particolar modo a quando, dopo la morte del piccolo Otto, i due, tornati a vivere sotto lo stesso tetto, si accontentano della reciproca vicinanza, trovando in essa un perfetto, ideale appagamento. Soltanto adesso, settimane dopo aver ri-letto Le affinità elettive, mi avvedo dell’assurdità, della disumanità di una tale soddisfazione (le mie parole non veicolano un giudizio negativo, sia chiaro, il completo appagamento di Ottilia ed Edoardo è, in fondo, un’estremizzazione al rovescio, la radicale antitesi dell’amore antropofago di Pentesilea, che mangia letteralmente di baci Achille), perché l’amore, l’amore ricambiato, corrisposto richiede necessariamente la passione, il coinvolgimento diretto del corpo, della carne. Senza abbracci, senza baci, senza rapporti carnali, senza amplessi un appagamento completo nell’amore è impossibile. Goethe rappresenta una sorta di utopia delle anime sconosciuta agli uomini. Soltanto l’uomo che ama senza essere corrisposto può accontentarsi – e di certo non in eterno – della vicinanza e trovare soddisfazione in essa, consapevole di non poter aspirare ad altro. L’impossibilità rende santi, oppure criminali, se ad essa non si riesce a rassegnarsi.

Io nella mia vita ho imparato che ribellarsi all’impossibilità è inutile e arreca soltanto dolore. Questa consapevolezza ha finito per uccidere in me il desiderio, perché tutto ciò che ho desiderato nella mia vita si è rivelato impossibile, irraggiungibile, sempre, e, a quanto pare, non so desiderare che l’impossibile.

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