I taccuini di Tarrou – 230

Sono una sorta di allegoria vivente, di personificazione dell’insensatezza e dell’assurdità. Tutti i miei tentativi sono falliti, tutte le imprese nelle quali mi sono cimentato sono rimaste fine a se stesse, perfettamente inutili. Nessuno dei miei amori è stato ricambiato, nessuno dei miei studi è fruttato il benché minimo riconoscimento, tutto ciò che ho scritto l’ho scritto soltanto per me stesso. Scolpire nell’argilla: tutta la mia vita è questo. Non so quanti altri individui possano vantare un’esistenza così intimamente assurda e inutile. Camus sarebbe fiero di me.

Ogni giorno passo ore e ore a lavorare un terreno, zappando, dissodando (lo faccio davvero, non è una metafora), che resterà incolto. Sono tutto in questa attività faticosa e sterile, fine a se stessa, inutile, come tutte le attività umane, certo, le quali tuttavia possono almeno contare su un’illusione di sensatezza che io non ho mai conosciuto. Se penso esclusivamente a me stesso, questa condizione di totale assurdità mi ispira persino un sorriso, una smorzata, amara ilarità, mentre se estendo la mia esistenza agli altri, a coloro che mi circondano, ai miei cari, provo un sincero dispiacere: sono stati davvero sfortunati con me. Potrei tentare di far capire loro che c’è altro, molto altro rispetto alla carriera, all’affermazione sociale, che non mi pesa affatto rinunciare a ciò che gli altri ritengono necessario e che non mi è mai interessato, ma non mi comprenderebbero, e questa incomunicabilità, questa impossibilità di comprensione da parte dei miei cari mi addolora forse più di ogni altra cosa (tanto più che io, a loro, li capisco perfettamente).

Naturalmente quello sbagliato sono io, e definendomi un uomo superfluo, un uomo senza qualità, paragonandomi dunque a Onegin, a Oblomov, all’uomo del sottosuolo, a Ulrich pecco di superbia, attribuendomi un valore che in realtà non ho, ma non ho alcuna intenzione di cambiare: non ho la voglia né la forza né, soprattutto, l’incoscienza necessarie per farlo. Sono prigioniero della mia inadeguatezza.

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