I taccuini di Tarrou – 226

Ristabilite le distanze, ristabilito quel distacco necessario in un rapporto basato sostanzialmente sul denaro, per la prima volta l’idea di andare da Cristina ha incontrato in me una certa resistenza, dovuta anche alla mia decisione di recarmi da lei per l’ultima volta (non è mai facile compiere un’azione sapendo che dopo ci attende il niente, e purtroppo per me il dopo non è mai stato meno rilevante dell’ora, anzi, la mia immaginazione tragica si proietta sempre all’avvenire ed è anche per questo motivo che, finora, non sono riuscito a togliermi la vita, perché centinaia di volte, accompagnato al pensiero del suicidio, ho visto il volto di mia madre sfigurato dalla sofferenza e ho toccato con mano la sua disperazione, la sua devastazione – nella mia testa vivo tutto ciò che non c’è, ma che potrebbe esserci). Ad ogni modo, vinta la resistenza, ho chiamato Cristina e lei per prima cosa si è scusata di non aver risposto al mio messaggio: mi ha fatto piacere, lo confesso. Credevo che non ci pensasse più. Così sono andato da lei, sforzandomi di prolungare il più a lungo possibile l’attesa, prendendo la strada più lunga, confondendomi tra la folla, osservando le vetrine dei negozi. Quando non mi è stato più possibile contenere il desiderio di vederla, ho abbassato la testa, tutto ciò che mi circondava è svanito di colpo, e sono corso da lei.
Cristina mi ha detto tante cose… Che i veri problemi per un uomo sono quelli fisici ed economici e che tutto il resto si può risolvere, che garantendo, a livello sociale, una vita dignitosa all’individuo le cose migliorano, che una volta terminato questo lavoro, vorrebbe aiutare le persone più in difficoltà, che non è giusto che un uomo che ha studiato e ha delle capacità non trovi un posto nel mondo. Cristina parlava, parlava, parlava, incontenibile, come se volesse dirmi, se non tutto, almeno il più possibile, mentre io ascoltavo e sentivo crescere dentro di me, come una marea, l’amarezza della separazione, che iniziava a diffondere il suo veleno, stordendomi, annichilendomi.
Io ho soltanto detto a Cristina che sono certo riuscirà a raggiungere i suoi obiettivi, perché è una donna forte e coraggiosa, e che può contare su di me qualora avesse bisogno di qualcuno con cui parlare, con cui uscire, con cui distrarsi.
– Io ci sono, – le ho detto.
Uscito dall’appartamento di Cristina sono precipitato nel vuoto. Ho cercato rifugio in libreria. Dopo una decina di minuti, passati afferrando e leggendo a caso qualche libro, mi sono reso conto con terrore di non indossare la mascherina. Fortunatamente nessuno mi ha notato (a volte ho la sensazione che neanche se facessi una strage gli altri mi noterebbero). Sono corso fuori in fretta, a testa bassa, la bocca coperta con la mano, come se avessi commesso un delitto. Non mi sono più guardato intorno e soltanto a casa ho ritrovato la calma.

In quell’ora in compagnia di Cristina, godendo della sua persona e del suo corpo, dell’illusione di un rapporto sincero, disinteressato, io evadevo dal mio vuoto, dal mio dolore, dalla mia solitudine, dalla mia disperazione, e per l’ennesima volta ho dovuto constatare quanto siano deleterie, distruttive le evasioni temporanee, come i momenti di lucidità per un pazzo oppure le ore di libertà per un prigioniero. Le evasioni acuiscono le nostre miserie, le nostre mancanze, le sottolineano, le evidenziano, le ingrandiscono e le aggravano, sono come le ferie di uno schiavo. Ora capisco perché Cioran scrive che il dovere di un uomo solo è di essere ancora più solo. Inoltre ho capito che noi nei rapporti, soprattutto quelli amorosi, cerchiamo sempre un cambiamento, e non soltanto in noi stessi, ma anche in tutto il resto, nel mondo, nella vita. Ma tutto il resto, il mondo, la vita, non cambiano. Mai.

Precedente I taccuini di Tarrou - 225 Successivo I taccuini di Tarrou - 227