I taccuini di Tarrou – 141

Una donna che potrebbe avere l’età di mia madre, i figli al fronte, veglia da cinque giorni il cadavere del marito, che non riesce a seppellire, abbandonato accanto a ciò che resta della loro casa, un cumulo di macerie, proteggendolo con la sua presenza dai cani affamati. Un uomo, che potrebbe avere l’età di mio padre, ha perso la figlia, che poteva avere la mia età, e la nipote, un’adolescente, e racconta il proprio dramma con una lucidità, con un distacco, con un’imperturbabilità impressionanti, che fanno rabbrividire e rivelano come in condizioni di guerra, condizioni nelle quali l’umana assurdità risplende in tutta la sua abbacinante ferocia, non ci sia spazio per il dolore, per la consunzione del lutto.

Mi sento in colpa per le vittima, per quelle che non ci sono più e per quelle che restano, come se fossi io il colpevole delle loro sofferenze. L’impotenza, talvolta spinta fino all’estremo limite dalla mia natura radicale, mi fa sentire responsabile del massacro.

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