Gli sconfitti – L’incontro

Le ventidue circa di un anonimo mercoledì di inizio gennaio. Era piovuto fino a qualche minuto prima. Un acquazzone improvviso, inatteso e piuttosto rapido, ma intenso. Un’aura di profonda melanconia avvolgeva l’intera cittadina di N., assopita, e si trasmetteva inevitabilmente anche negli animi dei pochi coraggiosi, soprattutto giovani, ancora in circolazione.
Giacomo passeggiava lentamente, come se stesse prendendo tempo, per le desolate vie di N. ancora addobbate a festa, nonostante l’epifania fosse trascorsa già da qualche giorno. Il giovane passeggiava tenendo in bocca una sigaretta spenta. Si guardava attorno inquieto, turbato, nervoso. Nella sua testa era come se turbinasse uno stormo di storni.
Improvvisamente gli si avvicinò una giovane donna – dall’aspetto doveva avere più o meno la sua stessa età – che procedeva nella direzione opposta alla sua. Lo chiamò per nome, con entusiasmo.
«Giacomo!».
Giacomo la osservò con attenzione e trasalì.
«Marta?», sussurrò appena, con un filo di voce debole e rotto dall’emozione improvvisa.
La giovane donna gli si lanciò contro e lo abbracciò con sincero trasporto.
Giacomo, profondamente stupito, quasi scosso, la strinse forte, gustando con profondi respiri la fragranza avvolgente che esalava dai lunghi capelli neri di Marta. Un incontro improvviso come il recente acquazzone, ma ben più caloroso.
«Tu… tu qui?», balbettò a stento Giacomo.
«Sì, stavo raggiungendo i miei amici in quel nuovo locale».
Sul volto del giovane era dipinta un’espressione di stupore e incredulità. Sul volto di Marta regnavano invece la spensieratezza e la felicità.
«Allora, Giacomo, come stai?».
«Io… io… sto bene, insomma, abbastanza bene. Non… non mi posso lamentare, ecco, diciamo così. Del resto… c’è chi sta peggio, no? Tu piuttosto, come stai?».
«Io sto benissimo. Da quanto tempo non ci vediamo!».
«Da un’eternità…».
«Sì, un’eternità, proprio un’eternità. Sai, mi è capitato spesso di pensare a te in tutti questi anni».
«Anch’io ti ho pensato molto…».
«Non sei cambiato di una sola virgola. Eccetto i baffi sei quello di una volta. Identico».
«Anche tu. Sei sempre… sei sempre bella. Anzi, forse ancor… ancor più bella dall’ultima volta che ti ho vista».
«Ah, quanto sei scemo. Mi devi fare subito arrossire».
«Scusami. Non volevo… metterti in imbarazzo».
«Dove stavi andando?».
«Io… passeggiavo. Così… Due passi, senza meta. Per… ammazzare il tempo, ecco. Tu, invece?».
«Te l’ho detto, stavo raggiungendo in quel nuovo locale i miei amici».
«Ah, sì… L’avevo già dimenticato…».
«Troppo stupore, eh? Proprio non ti aspettavi di rivedermi».
«No… Io… io proprio non me l’aspettavo. E poi… e poi proprio questa sera…».
Giacomo biascicò così tanto quest’ultima frase che Marta non comprese nulla. Era come impietrito. Faceva una fatica enorme a esprimere concetti che avessero almeno un minimo di senso. Quella sera era particolarmente inquieto, l’incontro con Marta poi, non aveva fatto altro che destabilizzarlo ancora di più.
I due si accomodarono sugli scalini consumati di una vecchia palazzina a due piani. Sopra le loro teste vicine innumerevoli lucette bianche, residuo del Natale appena trascorso, illuminavano, oltre ai lampioni, la strada deserta.
«Allora, cosa mi racconti?», chiese Marta a Giacomo con quel suo consueto tono di voce allegro e squillante, indomito.
Il giovane si stava pian piano riprendendo, aiutato anche dal fatto di essersi finalmente messo seduto.
«Mi crederesti se ti rispondessi che in tutti questi anni non è accaduto né cambiato nulla?».
«Oddio, Giacomo, sei sempre, sempre lo stesso. E questi baffi?».
«Un recente capriccio».
«Allora almeno qualcosina è cambiata. Non ti stanno male, sai?».
«Grazie».
«Sembri così inquieto, angosciato».
«Lo sono sempre Marta. Prima mi hai detto di avermi pensato spesso…».
«Sì, piuttosto spesso, te lo confesso».
«Anch’io».
«Ed erano pensieri dolci, piacevoli?».
«Sì. Del resto, come potrebbe essere altrimenti? Gli istanti passati al tuo fianco sono tra i più felici della mia vita».
Un’ombra di imbarazzo, quasi di vergogna passò sui volti di entrambi.
«Cosa ricordi di quelle notti a Padova?», chiese Giacomo a Marta, dopo diversi secondi di assoluto silenzio.
«Onestamente non molto. Ricordo però l’essenziale. Ricordo il senso di quelle notti», rispose la giovane guardando a terra.
«Io ricordo quasi tutto. Ogni dettaglio. Un elemento, però, mi è rimasto particolarmente impresso: la luna. Quella cavolo di luna, spettatrice indiscreta che rischiarava il buio, che si insinuava nella stanza permettendoci di guardare l’uno negli occhi dell’altra».
«Eravamo poco più che bambini».
«È vero, eravamo degli adolescenti spensierati e ignari. Erano giorni così nuovi, misteriosi e felici per me».
«Già. E tu ti rifiutasti persino di… Tornando indietro, cosa faresti?».
«Ti direi di sì, senza neppure un solo istante di esitazione. Anche perché, poi, non ho avuto più la possibilità…».
«Forse io ti direi di no».
«Non so cosa darei per tornare indietro nel tempo. Per rivivere di nuovo, e ancora, e ancora quelle favolose notti».
«Io sono contenta ora».
«Beata te. Dopo quel periodo della vita, io non sono stato felice che per pochi, pochissimi momenti. E più passa il tempo, più questi pochi momenti di felicità divengono rari».
«Sei sempre il solito. Così pessimista, così cupo».
«Marta, io sono così».
«E non vorresti cambiare? Non vorresti sorridere e gioire un po’ di più?».
«Perché? Che senso avrebbe? E poi, ora, sto sorridendo…».
Giacomo sorrideva davvero, di quell’indicibile e indescrivibile sorriso che solamente una donna può ispirare a un uomo.
«Marta, avrei voluto chiederti questa cosa tanto tempo fa, ma non ho mai trovato il coraggio».
«Dimmi».
«Tu mi hai mai… davvero amato?».
«Certo. Molto più di quanto immagini. Altrimenti non avrei mai fatto tutto quello che ho fatto».
«Eppure non me lo hai mai detto. Sei sempre stata così irriverente, talvolta persino offensiva, sadica nei miei confronti».
«Lo sai, ero fatta così».
«E ora sei cambiata?».
«Sono semplicemente cresciuta. Scommetto che l’incertezza ti ha tormentato».
«Sì, il dubbio che tu non mi avessi mai amato, neppure per un istante, è stato un vero e proprio tormento. Un atroce tormento».
«E ora che sai come sono andate davvero le cose?».
«Sono sollevato. Ho un tormento in meno e, fidati, non è poco. No, non è affatto poco».
«Oh, mi fido, mi fido. Mi fido eccome. Si è fatto tardi, i miei amici staranno impazzendo».
«Scusami se ti ho trattenuta così a lungo».
«Scherzi? Non ti avrei mai lasciato andare così, senza scambiare qualche parola. Era troppo tempo che non ti vedevo. Ora però devo proprio andare. Devo ancora avere il tuo numero da qualche parte. Ti chiamerò presto, e prenderemo un caffè insieme».
«D’accordo».
Dopo un rapido abbraccio, meno caloroso, ma non meno sincero del primo, Marta riprese il cammino.
Giacomo stava per riaccendersi la sigaretta e dirigersi dalla parte opposta, quando un improvviso pensiero lo attraversò da parte e parte come una lama. Velocemente raggiunse Marta e la afferrò con veemenza per un braccio. La giovane donna non fu per niente sorpresa né turbata dall’impetuoso gesto di Giacomo, anzi, sembrava quasi che se lo aspettasse.
«Marta! Guardami, Marta. Guardami bene, attentamente».
Giacomo parlava con affanno, aveva il fiato corto, cortissimo, come se avesse appena sostenuto un’estenuante e sfiancante maratona.
«Guardami bene, ti prego. Io avevo deciso di fare una cosa questa notte. Lo avevo già deciso da giorni, prima di incontrarti. Ora però… ora… Rimetto la mia volontà nelle tue mani. Sì, in queste tue mani sempre così delicate e soffici… che conosco così bene… Dimmi tu se questa cosa che avevo deciso di fare questa notte, devo farla oppure no. Ti scongiuro, non chiedermi niente, niente… non farmi domande. Rispondi solo sì oppure no… Allora, Marta, devo farlo oppure no?».
Marta osservava Giacomo, preda di una straordinaria eccitazione, con grande preoccupazione. Aveva faticato non poco a comprendere le parole del giovane, ma al suo quesito decisivo, capitale, rispose decisa, senza neppure un solo istante di esitazione, con un’espressione del volto severa: «No».
Subito dopo la risposta Marta riprese il cammino verso il locale.
Giacomo tornò finalmente a respirare senza affanno. A quel «no» così deciso e secco era svanita in un secondo tutta la sua eccitazione, tutta la sua agitazione. Abbandonate pesantemente le esili braccia lungo il corpo, a testa bassa, guardava l’asfalto bagnato. Una straordinaria sensazione di sollievo si impossessò di lui.
“Non questa notte…”, si diceva immobile, “almeno non questa notte. E se davvero mi chiamerà per quel caffè, forse… non in questa vita. Ma non potrebbe bastare solo il ricordo? Fino a oggi non è bastato, ma, chissà… Questo incontro inatteso e provvidenziale potrebbe aver cambiato tutto”.

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Informazioni su Simone Germini

Classe 1989, dopo il diploma di liceo scientifico mi iscrivo alla facoltà di Lettere presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, dove mi laureo nel luglio del 2015 con la tesi «Figlie della crisi. I personaggi femminili di Heinrich von Kleist», pubblicata sulla rivista «Le rotte - Il porto di Toledo». Sempre presso lo stesso ateneo, nel settembre del 2017, conseguo la laurea magistrale in Filologia Moderna, con la tesi «Con le parole guerra alle parole. Linguaggio e scrittura in Carlo Michelstaedter». Dal 2012 al 2018 sono stato caporedattore del blog «Freemaninrealworld». Insieme con Lorenzo Pica, Raffaele Rogaia e Marco Zindato ho fondato il sito iMalpensanti.it. Sul blog «Bazzecole» i maldestri tentativi di scrittura creativa. Per info e contatti simonegermini@yahoo.com.

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