Operette tumorali – Dialogo di Dio e di Giobbe

Seduto a terra, davanti a ciò che resta della sua casa – un cumulo di macerie -, Giobbe, quest’uomo vecchio e malato, un tempo ricco ed oggi povero, che ha visto i suoi figli sterminati tutti in una sola notte, fissa il vuoto e si domanda ostinatamente perché, perché all’improvviso abbia perso tutto, così, da un giorno all’altro. Per quanto si sforzi, non riesce a trovare una risposta. Ha sempre servito Dio, con maniacale devozione. Non c’è stato un solo giorno in cui, svegliandosi, non lo abbia ringraziato della propria ricchezza, della propria salute, e della ricchezza e della salute dei suoi dieci figli, che ora non esistono più, schiacciati da pietre e travi. Giobbe sa di essere innocente, sebbene i suoi amici, i soli affetti che gli restano, non perdano occasione di affermare il contrario, rinfacciandogli colpe presunte. Ma il vecchio Giobbe non se la prende, non li biasima. Il dolore, la povertà e la malattia non intaccano l’intelligenza. Egli sa bene che gli amici lo accusano per mantenere ben solido il terreno sotto ai loro piedi, terreno che franerebbe all’istante se gli amici si rendessero conto che le disgrazie piovono anche sugli innocenti, su coloro che, come il vecchio Giobbe, non hanno commesso neanche un solo peccato per meritarsi un tale inaudito castigo.
Ecco che un vento improvviso distoglie Giobbe da tutte queste amare e sterili considerazioni. Un vento dotato di voce, la voce altera e presuntuosa di Dio, il responsabile della sciagura che ha colpito il vecchio Giobbe e la sua numerosa famiglia.

DIO Chi è… chi è costui che vuole offuscare il consiglio con parole insipienti?

Giobbe comprende subito che è il suo Dio a rivolgergli la parola. Allargando le magre e rugose braccia crivellate di fastidiosissime pustole, il cui prurito incessante punge il cervello, prova a rispondere.

GIOBBE Signore, io…

Ma Dio lo interrompe, e la sua voce tonante addirittura si alza.

DIO Forza, Giobbe, forza… cingiti i fianchi come un prode, io domanderò e tu mi insegnerai. Forza, Giobbe, fa’ come ti ho detto.
GIOBBE Signore, ma quale prode… io sono nudo come un verme, e come un verme striscio. Queste mie povere gambe, tormentate dalle pustole come tutto il resto del corpo, non ce la fanno più a sostenermi.
DIO Dimmi, Giobbe, dov’eri… dov’eri tu quando ergevo le fondamenta della terra? Forza, rispondi, visto che hai tanta intelligenza!
GIOBBE Signore, ma io dove potevo essere…
DIO Dimmi, o prode Giobbe, chi ha fissato le dimensioni della terra, e chi ha teso su di essa la misura? Dimmi, dove sono fissate le sue basi, e chi ha posto la sua pietra angolare, mentre le stelle del mattino gioivano in coro ed esultavano tutti i figli di Dio?
GIOBBE Ma, Signore…

Niente da fare, l’autocelebrazione di Dio non ammette ma. Questo essere dall’ego smisurato, questo egomostro si inebria delle sue stesse parole. Gonfia il petto e proclama il proprio trionfo al cospetto di un vecchio povero e malato.

DIO Chi, Giobbe, chi ha chiuso il mare tra due battenti, quando prepotente erompeva dal seno materno, quando Io, Io lo circondavo di nubi per veste e di densa caligine per fasce? Poi gli ho fissato un limite, gli ho messo chiavistello e porte e ho ordinato: «Fin qui ti spingerai, non oltre; qui si infrangerà l’orgoglio delle tue onde!».

E proprio come una marea il tono della voce di Dio si ingrossa, travolgendo il povero Giobbe, che neanche tenta più di interrompere quel monologo superbo.

DIO Giobbe! Dimmi, da quando vivi, da quando Io ti ho messo al mondo, hai mai comandato al mattino e assegnato il posto all’aurora, affinché essa afferri i lembi della terra scuotendone via i malvagi? Si trasforma come creta, sì, come creta da sigillo e si colora come una veste. È sottratta agli empi la loro luce ed è spezzato, frantumato il braccio che si alza a colpire! Giobbe! Dimmi, sei mai giunto alle sorgenti del mare, ti sei spinto mai nel fondo tenebroso dell’abisso? Vi hai forse passeggiato, eh? Dimmi, ti sono state indicate le porte della morte e hai visto le porte dell’ombra funerea?
GIOBBE Ahimè, Signore, la morte la conosco bene… non è molto che ho sepolto, uno per uno, tutti i miei dieci figli.

Ma Dio il suo povero suddito non lo ascolta. Anzi, non può proprio sentirlo, tanto è pieno di sé.

DIO Giobbe! Dimmi, hai mai considerato le distese della terra? Parla! Su, parla, se sai tutto questo!
GIOBBE Io…
DIO Sai per quale via si va dove abita la luce e dove dimorano le tenebre perché tu le conduca al loro dominio o almeno, almeno!, tu sappia avviarle verso la loro casa?
GIOBBE Io so soltanto che una casa non ce l’ho più.
DIO Ma certo, certo che lo sai! Oh sì, Giobbe, tu lo sai… perché allora eri nato e il numero dei tuoi giorni è tanto grande!
GIOBBE Signore, la malattia mi invecchia ancor di più.
DIO Giobbe! Dimmi, sei mai giunto, tu, ai serbatoi della neve, hai mai visto i serbatoi della grandine che Io, Io riserbo per il tempo della sciagura, per il giorno della guerra e della battaglia? Dimmi, Giobbe, hai mai visto per quali vie si espande la luce e si diffonde il vento d’oriente sulla terra? Chi, chi ha scavato canali agli acquazzoni e una strada alla nube tonante, per far piovere sopra una terra senza uomini, su un deserto dove non c’è nessuno, per dissetare regioni desolate e squallide, sì, squallide, e generare erbe consolanti nella steppa? Dimmi, su, dimmi, rispondi, ha forse un padre la pioggia? E hanno forse un padre le gocce di rugiada? Dal seno di chi è uscito il ghiaccio e la brina, dal cielo, chi l’ha generata? Le acque induriscono come pietra… e si raggela la superficie dell’abisso. Puoi tu, Giobbe, uomo, puoi tu annodare i legami delle Pleiadi e sciogliere i vincoli di Orione? Puoi tu accendere a suo tempo la stella del mattino, oppure guidare l’Orsa ed i suoi figli? Conosci tu le leggi del cielo e applicarne le norme sulla terra? Puoi tu innalzare la voce fin sopra le nubi e farti coprire da un rovescio d’acqua? Scagli tu i fulmini ed essi partono dicendoti: «Eccoci»? Chi ha donato all’ibis la sapienza e chi ha donato al gallo silvestre l’intelligenza? Chi può calcolare con sapienza le nubi e chi riversa gli otri del cielo quando si fonde la polvere in una massa e le zolle si fondono? Dimmi, vecchio Giobbe, vai tu a caccia per la leonessa e sazi la fame dei cuccioli quando stanno accoccolati nelle tane oppure in agguato tra le macchie? Chi prepara alla cornacchia il suo pasto, quando i suoi figlioli gridano verso Dio e vagano senza meta a causa della fame che attorciglia i loro minuscoli stomaci?

Dio tace, riprende fiato. Giobbe prova allora ad obiettare che lui la zoologia non l’ha mai studiata, che del regno animale non sa molto, ma ecco che il Signore ricomincia. E la pausa dona nuovo vigore alla sua voce possente di per sé.

DIO Giobbe! Sai tu quando figliano le camozze e assisti al parto delle cerve?
GIOBBE Da bambino ho visto partorire una pecora, poi ho visto partorire anche mia moglie.
DIO Dimmi, conti tu i mesi della loro gravidanza e sai quando devono figliare? Si curvano e depongono i figli, mettendo fine così alle loro dolorose doglie. I loro figli sono forti, robusti, crescono in campagna, se ne vanno e non torneranno più dalle loro madri. Chi lascia libero l’asino selvatico e chi scioglie dell’onagro…
GIOBBE Di che?
DIO …al quale ho dato la steppa per casa…
GIOBBE E vabbè.
DIO …e per dimora la terra salmastra? Del fracasso delle città se ne ride! E se ne frega delle grida dei guardiani! Vaga per i monti e va in cerca di ciò che è verde. Dimmi, Giobbe, il bufalo si lascerà piegare a servirti o a passare la notte presso la tua greppia? Potrai legarlo con la corda per fare il solco o fargli erpicare le valli dietro di te?
GIOBBE Questo bufalo non so neppure come sia fatto, e alle mie spalle ho macerie, altro che valli.
DIO Ti fiderai di lui, perché la sua forza è enorme, e affiderai a lui le tue fatiche?
GIOBBE Oh, questo lo farei molto volentieri.
DIO Conterai su di lui, che torni e raduni la tua messe sulla tua aia?
GIOBBE Ma quale messe… quale aia… Qui è tutto distrutto.
DIO L’ala dello struzzo batte festante, ma è forse penna e piuma di cicogna?
GIOBBE Oddio… io non ci capisco più niente. E queste pustole maledette mi danno il tormento. Lo so, non dovrei grattarmi, ma non riesco a resistere!
DIO Abbandona alla terra le uova e nella polvere le lascia riscaldare. Dimentica che un piede può schiacciarle, la zampa pesante di una bestia selvatica calpestarle. Tratta duramente i figli, come se non fossero suoi, e della sua inutile fatica non si affanna, perché Dio gli ha negato la saggezza e non gli ha donato discernimento.
GIOBBE Beato lui… si deve vivere così tranquilli e sereni senza discernimento…
DIO Ma quando giunge il saettatore – e il saettatore giunge sempre, prima o poi – fugge agitando le ali e facendosi beffa del cavallo e del suo cavaliere.
GIOBBE Allora un po’ di discernimento ce l’ha.
DIO Giobbe! Dimmi, tu, Giobbe, vegliardo ribelle, puoi dare la forza al cavallo e rivestire di fremiti bollenti il suo collo? Sei tu, Giobbe, a farlo balzare come una locusta? Il suo potente nitrito incute spavento. Scalpita nella valle, giulivo, e impavido, con impeto affronta le armi. Sprezza la paura e non retrocede di fronte alla spada. Su di lui sibila velenosa la freccia, riluce la lancia. Strepitando, fremendo divora lo spazio e al suono della tromba incontenibile grida: «Aah!». Sente la battaglia, le urla dei capi, il fragore della mischia. Fiuta il sangue… Giobbe! Forse per tua volontà s’alza in volo lo sparviero e migra verso sud? Dimmi, al tuo cenno l’aquila s’innalza e colloca il suo nido sulle inarrivabili alture? Ella abita le rocce perigliose e passa la notte sugli acuminati denti di rupe o sui picchi. Da lassù spia la sua preda ignara… tanto lontano giungono i suoi occhi scrutatori. I suoi aquilotti s’abbeverano del sangue, e là dove sono cadaveri, ella si trova.
GIOBBE Dunque tra non molto sarà anche qui.
DIO Giobbe, vecchio censore, vorrai ancora contendere con l’Onnipotente? Accusatore di Dio, rispondi!

Dio tace. Questa volta pretende davvero una risposta dal povero e vecchio Giobbe.

GIOBBE Signore, io sono un miserabile, che ti posso rispondere? Ho parlato una, due, tre volte, ma non c’è stato verso di…
DIO Forza, cingiti i fianchi come un prode, io domanderò e tu mi insegnerai.
GIOBBE Signore, io non voglio istruire nessuno e tantomeno te, che sai tutto, ma…
DIO Oseresti cancellare il mio giudizio, darmi torto per avere tu ragione?

E l’Onnipotente ricomincia con il suo sproloquio. Giobbe, esausto, sospira e piega il capo canuto, anch’esso crivellato di pustole come il resto del corpo.

DIO Hai tu, Giobbe, un braccio come il Mio, il braccio di Dio? Puoi tu tuonare con voce pari alla Mia, la voce di Dio? Ornati, ornati pure di maestà, di sublimità, rivestiti pure di splendore, di gloria, diffondi i furori della tua collera, mira ogni superbo e abbattilo, mira ogni superbo e umilialo (no, non c’è ironia in queste parole, ndr), schiaccia i malvagi ovunque si trovino, nascondi tutti nella polvere, seppelliscili, rinchiudi le loro facce nel buio, e anch’Io, anch’Io ti loderò, perché hai trionfato con la destra.

Poi Dio inizia a parlare di ippopotami, coccodrilli e balene. Giobbe, esasperato, sfinito, prega il Signore che gli conceda la parola. L’Onnipotente acconsente.

GIOBBE Signore, concedimi solo un minuto, sarò breve. Io comprendo che Tu puoi tutto, davvero, e comprendo pure che nessuna cosa è impossibile per te. Nessuno può oscurare il tuo consiglio, è giustissimo che sia così. Riconosco di aver parlato senza discernimento, come quell’animale… chi era? Lo struzzo? Ma non importa. Riconosco di aver esposto delle cose troppo superiori a me, che io non potrò mai capire. Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora che i miei occhi ti hanno visto e le mie orecchie ascoltato, mi ricredo, e provo pentimento. Permettimi solo di rivolgerti, Onnipotente, un’ultima domanda: perché?
DIO Perché cosa?
GIOBBE Perché mi sono piovute addosso così, da un giorno all’altro, tante sciagure? Perché questa assurda malattia che non mi lascia in pace neppure per un secondo, perché la distruzione della casa, perché la morte di tutti i miei figli?

Una lacrima solca il volto piagato di Giobbe. E Dio, vedendo quella lacrima, prova qualcosa che non ha mai provato prima: il rimorso. Quella lacrima gli ricorda di colpo perché ha rovinato un uomo: per una scommessa con Satana. Sì, Dio, per farsi bello agli occhi del diavolo, si è giocato la pelle di un uomo, dell’uomo che più d’ogni altro lo ha servito incondizionatamente.
Il senso di colpa divora l’Onnipotente ed egli, per non impazzire, si affretta a reintegrare Giobbe, lo ristabilisce nello stato di prima, anzi, accresce del doppio quanto il vecchio possedeva. Mentre Satana alle sue spalle si sbellica dalle risate.

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Informazioni su Simone Germini

Classe 1989, dopo il diploma di liceo scientifico mi iscrivo alla facoltà di Lettere presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, dove mi laureo nel luglio del 2015 con la tesi «Figlie della crisi. I personaggi femminili di Heinrich von Kleist», pubblicata sulla rivista «Le rotte - Il porto di Toledo». Sempre presso lo stesso ateneo, nel settembre del 2017, conseguo la laurea magistrale in Filologia Moderna, con la tesi «Con le parole guerra alle parole. Linguaggio e scrittura in Carlo Michelstaedter». Dal 2012 al 2018 sono stato caporedattore del blog «Freemaninrealworld». Insieme con Lorenzo Pica, Raffaele Rogaia e Marco Zindato ho fondato il sito iMalpensanti.it. Sul blog «Bazzecole» i maldestri tentativi di scrittura creativa. Per info e contatti simonegermini@yahoo.com.

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