Non ho mai sentito il bisogno di viaggiare perché ogni libro per me è un viaggio.
In questi giorni sono a Dublino, la Dublino di Joyce, e devo dire che mi ci trovo bene, come nella Pietroburgo di Dostoevskij. La sua atmosfera crepuscolare, miserevole, vagamente funerea mi è familiare. Sosto a lungo sulla banchina della stazione portuale di North Wall. Mi piace vedere i volti pieni di speranza dei giovani che fuggono, alla ricerca di una vita migliore, che si ribellano alla paralisi sociale, morale, spirituale, esistenziale di cui la Dublino di Joyce è il centro.
Io dalla mia Dublino non fuggirò con una nave ma con una cassa. Diamine, a volte sono troppo cupo persino per me stesso.