I taccuini di Tarrou – 218

A volte il mio desiderio di scomparire è così forte e profondo, così penetrante e totalizzante che lo sento scorrere nelle vene, mescolato al sangue, come un potentissimo veleno, invadermi dappertutto, in ogni singola fibra del mio essere, e mi stupisco che non basti a uccidermi, che non sia sufficiente mettermi a letto e chiudere gli occhi per sfuggire a questa lenta agonia. Se osservo la mia vita, la mia storia attraverso questo desiderio, mi sembra impossibile che io abbia protratto la mia esistenza fino a questo punto, e mi domando se non si tratti di un incubo, di uno scherzo malvagio e di cattivo gusto ordito da un demone che gode a spargere terrore tra gli spettri. Ma è tutto vero, e in questi momenti mi accorgo quanto fosse falsa e rettorica una mia affermazione ricorrente negli ultimi mesi: che nelle mie condizioni la morte fisica, sostanziale non è che una formalità. Una menzogna, perché nonostante la morte spirituale e il sentimento della fine, del corpo e dell’esistenza sento tutto il peso, quel peso che, mio malgrado, sono costretto a sostenere come Sisifo il suo masso, e di cui mi libererò in ogni caso, anche se fosse ora, in questo istante, troppo tardi.

La mia fatica è la più inutile di tutte.

Sisifo e il demone, IV secolo a.C.
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