Cronache di un pendolare. Due fatti realmente accaduti

L’eroina – Una favola moderna

Il treno ciondola molle. Come un bruco ferroso, sbilenco segue la via tracciata dai binari per inerzia, con pesantezza, quasi con spossatezza. “Io mio muovo, io procedo solo perché devo, di certo non perché voglio”, sembra comunicare con la sua andatura il mezzo. L’insoddisfazione e la rassegnazione del conducente si riflettono su di esso, sul suo incedere grave e rumoroso, sbuffante e scorbutico.
Dal fondo del terzo vagone si diffonde una voce maschile, giovane, squillante e decisa, che fende e lacera l’aria già pesante, sebbene non siano neppure le otto del mattino.
«Buongiorno. Biglietto prego. Merci», esclama con giovialità.
È il Controllore, che assolve la sua sacrosanta ed indispensabile missione quotidiana di legalità e giustizia. Un giovane trentenne, alto, ben piazzato, con il volto pieno incorniciato da una barbetta curata e profumata, gli occhiali da vista, dietro i quali si muovono due occhietti scaltri, inforcati sul naso spesso. Indossa una divisa impeccabile, che porta con fierezza e responsabilità, il cui elemento più caratteristico è senza dubbio il cappello, saldamente piantato in testa, moderno elmo dalle rifiniture rosso sangue che esaltano tutta l’autorità del pubblico ufficiale.
Il terzo vagone è un eccezionale esempio di legalità e di senso civico. Tutti i passeggeri in esso ubicati, compreso il sottoscritto, sono muniti di biglietti obliterati e di abbonamenti validi, e questo rende straordinariamente piacevole e gratificante il lavoro del Controllore. Senonché, guarda caso proprio nell’ultimo posto della carrozza, ecco il tanto temuto intoppo, l’infrazione alla legge. Una giovane donna dell’est porge all’illustre autorità ferroviaria, all’impeccabile pubblico ufficiale in divisa linda ed odorosa, un biglietto non obliterato. Oh dei immortali… Quale sciagura! Quale sventura!
Il Controllore, ferito nell’animo, punto nell’orgoglio, gonfia il petto, scaccia come una fastidiosa mosca l’informale francese, muta l’espressione del volto, che in un istante da affabile, bonaria e soddisfatta diviene offesa, severa, implacabile. Una goccia di sudore, fredda, gli cola dalle tempie pulsanti fin sulle guance ben pasciute, incagliandosi tra i peli ispidi della barbetta curata. Il Controllore diviene ora Inquisitore. E la sua spietatezza non ha nulla da invidiare a quella dei giudici ecclesiastici che tra il Quattrocento ed il Cinquecento condannavano a morte uomini e donne con la stessa leggerezza con la quale si sorride. Il suo tono di voce si fa ora impostato, cavernoso e austero. Per la giovane straniera, per questa sfacciata fuorilegge non c’è scampo.
«Signora, lei ha due possibilità. Può decidere di pagare immediatamente il biglietto con una soprattassa di cinquanta euro, oppure ricevere a casa il verbale che prevede una penalità di duecento euro. In tal caso, se lei dovesse pagare entro il quindicesimo giorno dalla data della notifica, l’importo è ridotto a cento euro. Mi dica lei».
L’arcigno Controllore si esprime con chiarezza e risolutezza, sfoderando un italiano invidiabilmente corretto, privo di inflessioni dialettali. Spietato, non si cura affatto del terrore e dell’incredulità dipinte sul volto diafano della donna.
«Ma io… io sono salita a Villa Claudia… e lì… lì le macchinette non funzionano…», prova a giustificarsi la sciagurata, che trema dalla testa ai piedi.
«Signora, dietro il biglietto è scritto chiaramente: “Il biglietto deve essere convalidato prima di salire a bordo. In caso di mancanza o guasto delle validatrici – validatrici e non macchinette – rivolgersi alla biglietteria o, alla salita, al Personale di Bordo”. Dunque, mi dica lei: paga ora con una soprattassa oppure mi costringe a redigere il verbale? In questo caso deve fornirmi un documento di riconoscimento».
«Ma come… io… io dovrei salire sul treno e cercare il controllore… io…», balbetta l’infelice, che non sa più che pesci pigliare.
«Certo signora. Il R-e-g-o-l-a-m-e-n-t-o prevede proprio questo».
In un impeto di coraggio, la giovane donna dell’est, messa alle strette, chiusa in un angolo, incalzata dalle martellanti frasi del pubblico ufficiale, prova a difendersi, e tira fuori gli artigli.
«Va bene, va bene, io pago, pago subito, ma dopo faccio ricorso».
Cosa? Ricorso? Alla parola «ricorso» il Controllore si inalbera. Proprio non si aspettava una reazione da parte della preda. Il pubblico ufficiale reagisce alla provocazione con fermezza, ricorrendo al pugno di ferro.
«Bene. Perfetto. Sa cosa le dico? Che procedo subito alla compilazione del verbale, così il ricorso può farlo meglio. Poi vedremo chi, tra me e lei, ha ragione. Ora la prego di favorire un documento di riconoscimento». I nervi del controllore scricchiolano, vacillano pericolosamente, sono lì lì per spezzarsi.
«Io non esco mai con i documenti», risponde decisa la rivale.
«D’accordo. In tal caso sono costretto a chiamare la Polizia», controbatte il Controllore in preda ad un fervore dispotico, dittatoriale. È deciso ad avvisare le forze dell’ordine, e a punire l’insolente fuorilegge, quando un’imponente voce femminile, simile allo spaventoso ruggito di una leonessa, improvvisamente si leva da qualche metro di distanza.
«Addirittura la polizia! Ma falla finita!», esclama una donna bionda di mezza età, coraggiosa e per questo ancor più bella, brandendo verso il Controllore il braccio destro teso, ostile, con il palmo della mano rivolto verso l’alto.
«Lo abbiamo sentito tutti, ha detto che ti paga», prorompe l’eroina come un fiume in piena che ha devastato gli argini, «e allora fatti pagare e vattene! Voglio vedere se hai le palle di passare ad Aprilia!».
Il Controllore è abbattuto, colpito dritto in faccia da un fendente invisibile. Per qualche istante non capisce più nulla. La sua mente si annebbia, i nervi si stracciano. Non sa cosa fare. È in un bagno di sudore. Si guarda attorno, ma non vede niente. Il treno regionale 12124 delle sette e trentuno per Roma Termini è la sua Waterloo. Ma il Controllore non ha certo la dignità di Napoleone.
Sconfitto, o meglio, annientato, umiliato lo sfortunato pubblico ufficiale riesce appena a balbettare qualcosa, afferra i soldi che la giovane gli porge – per oggi dovrà rinunciare al pranzo e alla spesa – e se ne va. Con la coda tra le gambe, barcollante come quello stesso convoglio che fino a pochi minuti prima governava con fierezza e autorità, scende gli scalini, e in più di un’occasione rischia di ruzzolare rovinosamente a terra.
Trionfante l’eroina bionda, la leonessa si avvicina con affetto alla vittima, che redarguisce e avvisa con dolcezza.
«La prossima volta fatti obliterare il biglietto, il più stronzo di tutti potrebbe ricapitarti».
La giovane la ringrazia infinite volte, è commossa dalla solidarietà dell’eroina. Quest’ultima, maestosa, una vera gigantessa, ignorando i calorosi ringraziamenti si riaccomoda al proprio posto, con nel cuore ancora qualche flebile rimasuglio di quel prorompente incendio che l’ha portata ad agire, a mettere al servizio di un’innocente tutto l’illimitato potere che le deriva dall’essere donna. Oltretutto, una gran bella donna.

***

La povera lettrice

Questa mattina in libreria ho assistito ad una scena commovente. Intento a scartabellare i Classici, l’occhio mi cade su una ragazza, a qualche metro di distanza da me. La osservo stringere in mano un sottile libricino bianco, che legge con piacere ed entusiasmo – uno splendido sorriso le illumina il volto abbronzato. Dopo qualche riga appoggia il testo sullo scaffale, ed estrae da una tasca dei pantaloni variopinti e morbidi il portafogli. Controlla quanto denaro ha a disposizione. Evidentemente non a sufficienza per acquistare il libro, e infatti sul suo volto in un baleno svanisce il sorriso ed appare una smorfia di delusione che ne adombra la bellezza. Una smorfia davvero struggente, credetemi, che avrebbe stretto il cuore anche a voi, ne sono certo, qualora foste stati presenti. Addolorata la giovane ripone il libro tra gli altri, nello stesso, identico punto in cui con giubilo poco prima lo aveva prelevato, e se ne va. Immediatamente mi precipito verso il piccolo testo, lo afferro, ne leggo l’autore, Mark Twain, il titolo, Il diario di Adamo ed Eva, il prezzo, otto euro, e penso: “Ora la raggiungo e le do il denaro che le serve, oppure lo compro io il libro, sì, molto meglio, lo compro io, la inseguo e glielo regalo”. Ma non mi decido. Temo che la mia pietà possa ferirla, possa offenderla e farla infuriare, e così la vedo svanire, la povera lettrice, al di là del vetro della libreria, affranta. La vedo dissolversi in fretta, troppo in fretta tra la moltitudine di passeggeri che affollano la stazione di Roma Termini. Torno ad osservare il libro, lo sfoglio distrattamente, fino a giungere all’ultima pagina. Qui indugio, leggo le parole che concludono l’opera di Twain:

Alla tomba di Eva

ADAMO: “Ovunque lei sia stata, QUELLO era l’Eden”.

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Informazioni su Simone Germini

Classe 1989, dopo il diploma di liceo scientifico mi iscrivo alla facoltà di Lettere presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, dove mi laureo nel luglio del 2015 con la tesi «Figlie della crisi. I personaggi femminili di Heinrich von Kleist», pubblicata sulla rivista «Le rotte - Il porto di Toledo». Sempre presso lo stesso ateneo, nel settembre del 2017, conseguo la laurea magistrale in Filologia Moderna, con la tesi «Con le parole guerra alle parole. Linguaggio e scrittura in Carlo Michelstaedter». Dal 2012 al 2018 sono stato caporedattore del blog «Freemaninrealworld». Insieme con Lorenzo Pica, Raffaele Rogaia e Marco Zindato ho fondato il sito iMalpensanti.it. Sul blog «Bazzecole» i maldestri tentativi di scrittura creativa. Per info e contatti simonegermini@yahoo.com.

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