I taccuini di Tarrou – 520 – La prova più dura

Sono nella stessa condizione di Meursault. Nessuno sa quale terribile segreto si nasconda dietro la mia decisione di isolarmi dal mondo, dietro il mio rifiuto di servire una società che mi ripugna. Nessuno lo sa, nessuno lo vede, nessuno lo comprende, dunque nessuno mi giudica per quello che davvero sono. Per tutti non sono un uomo consapevole dell’insensatezza della vita, un uomo dionisiaco, un uomo assurdo, e come tale impossibilitato ad agire, ma un parassita, o un fallito, nel migliore dei casi. È questa la mia prova più dura: resistere all’incomprensione, all’isolamento forzato.

A volte ho la tentazione di rivelare tutto, di confessare, gridando, ai miei genitori che se sono ancora vivo è soltanto per la pietà che provo nei loro confronti, ma so che non servirebbe a niente, e allora taccio. Quando mia madre mi vede taciturno e triste, oppure irritato, crede che sia per la mancanza di un impiego. In realtà, in quei momenti, è l’impossibilità di sparire a togliermi la parola – e quasi il fiato -, a rattristarmi, a irritarmi. Ma come potrei confessarle una cosa del genere? E allora mi sforzo – ma quanta fatica mi costa! – di sorridere, e se proprio non ci riesco mi allontano un fretta, tentando di ritrovare nella solitudine almeno un briciolo della serenità perduta.

È complicato per tutti, non solo per me, lo so, e la cosa peggiore è che una via d’uscita non c’èIn ogni caso, non c’è.

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