Ultimo dell’anno. Dopo molti mesi, ho riletto la sua lettera d’addio. Non ho provato dolore, ma soltanto una profonda, rassegnata tristezza. Lei non è più con me da un anno e mezzo ormai, ma io non smetto di essere con Lei, sebbene poche settimane fa abbia avuto l’impressione che il mio sentimento di Lei fosse svanito. In realtà, più che svanito, è come se lo avessi completamente interiorizzato, assorbito, come se fosse ormai qualcosa di naturale e spontaneo, necessario per la mia esistenza, come respirare.
Il suo addio ha diviso la mia esistenza perfettamente in due: c’era un’esistenza con Lei, anche quando non la conoscevo ancora, perché Lei sola era nelle mie fantasie, nei miei sogni, nei miei desideri, e c’è un’esistenza senza di Lei, interamente dominata dalla solitudine, dal dolore, dalla disperazione, ridotta al puro e gratuito essere.
Forse soltanto ora mi rendo conto di averle chiesto troppo. Mai avrei dovuto chiedere, o peggio, pretendere. Mai avrei dovuto imporle la mia presenza. Nella sua vita sono stato soltanto un intruso. L’ho perduta nel momento in cui le ho domandato di legittimare la mia intrusione. Era naturale che la perdessi, ma l’ho perduta nel modo meno dignitoso possibile, e non credo che mi perdonerò mai per questo. È stato come andare incontro alla morte frignando e strepitando.
È l’ultimo giorno dell’anno e vorrei fare una promessa a me stesso. Prometto di impegnarmi a essere un uomo migliore, e so che soltanto la rassegnazione può aiutarmi in questo. La rassegnazione sarà la mia guida.