La dismisura è sempre stata la mia cifra. Non conosco la mediocrità, ma soltanto gli estremi dell’esistenza, non conosco la tepidezza, ma il calore che fonde ogni cosa e il gelo che paralizza, svuota e cristallizza in eterno, non conosco le sfumature, le rassicuranti tonalità di grigio, ma il nero del nulla e il bianco che acceca, non conosco la necessaria arte del compromesso, ma la suprema, feroce, distruttiva logica del tutto o niente. Non mi sono mai accontentato di piccole porzioni, di mezze parole, mezzi dolori, mezze gioie, mezzi rapporti. Di ogni donna amata ho fatto un’imperatrice del mondo, un miracolo del genere umano, di ogni sentimento una fede, di ogni pensiero una ribellione, di ogni libro riconosciuto come grande un testo sacro. È proprio perché dentro di me ho sentito una tale forza da scuotere il mondo intero che mi sono esaurito precocemente, che ho deciso di farmi da parte, di isolarmi, di rendere effettiva la mia condizione di esclusione spirituale. Non posso cambiare le cose, d’accordo, ma non posso neppure accettare che restino così come sono, la mia natura estrema me lo impedisce, ed è proprio quando il senso d’impotenza incontra il senso di giustizia che la tentazione di scomparire raggiunge picchi di vertigine che mi annichiliscono. Posso rassegnarmi al mio destino di dolore, di solitudine, di disperazione, o almeno credo, ma non alla ferocia e alla povertà spirituale che vedo trionfare ovunque attorno a me. Questo mondo non è mai stato né sarà mai la mia patria. Sono un apolide che vaga in dimenticate regioni dello spirito, disabitate da tempo, abbandonate, solo con me stesso, privo di una compagnia umana con la quale condividere il peso insostenibile dell’esistenza. Ormai non so neanche più se ciò che penso e scrivo abbia un senso oppure no.