Spazzatura. I rifiuti cerebrali di un uomo (suo malgrado) – Giugno

1. Ci sono momenti in cui tutto quello che non ho mi seppellisce.

2. Io non mi ritengo migliore, l’appartenenza al genere umano me lo impedisce. Io mi ritengo semplicemente diverso. E non c’è forse niente di più scomodo e di doloroso di questa diversità. Uomini come me dovrebbero morire presto, o trascorrere la loro esistenza improduttiva, socialmente improduttiva, in un eremo, lontani dall’umano consorzio. Ma a me è negata la morte e la solitudine, e il mio destino, il mio futuro prossimo mi fa rabbrividire: costretto ad una omologazione formale, apparente, mentre dentro ho un deserto sterminato, in cui domina una sterilità spaventosa. Mi domando quanto potrò resistere, consapevole, ahimè, che la viltà è la principale forma di nutrimento della vita. E non mi consola più il pensiero della fine, perché ormai, in qualunque momento essa verrà, sarà sempre in ritardo. La vigliaccheria mi sta privando giorno dopo giorno del diritto alla bella morte.

3. Il fatto che io mi ritenga diverso non significa affatto che lo sia davvero, anzi. Cosa sono, in fondo? Un uomo vile, ipocrita, invidioso, depravato come tanti altri, come tutti gli altri. Uno stereotipo, e nulla più.

4. L’uomo privato dell’amore di una donna si strugge nel suo dolore e dimentica, colpevolmente, di domandarsi il perché di questo suo stato. C’è sempre un motivo in amore, il più razionale dei sentimenti nel campo della scelta. Penso a me stesso: una donna come potrebbe innamorarsi di un uomo basso, calvo, secco come un chiodo, che non ha nessun altro interesse oltre ai libri e che porta stampato in faccia tutto il suo male di vivere? Non posso certo stupirmi della mia solitudine.

5. Quest’oggi mi è capitato di riprendere in mano i Pensieri di Pascal e di leggerne alcuni. Ogni volta mi stupisco di quanto questo pensatore sia stato importante per me, ma che dico importante, necessario piuttosto. Pascal è stato una vera e propria guida, senza la quale non sarei mai pervenuto alla conoscenza di me stesso e quindi dell’uomo.

6. Quale uomo può dirsi davvero innocente, e innocente a tal punto da arrogarsi il diritto di giudicare e condannare un suo simile? Nessuno; perché la semplice appartenenza al genere umano costituisce di per sé una colpa. Per questo motivo anche il sistema giudiziario più progredito non può avere credibilità e non può essere legittimato da chi, di quanto scritto sopra, è consapevole.

7. È quando pone la questione dell’abolizione della pena di morte in termini di efficacia – «Non è il terribile ma passeggiero spettacolo della morte di uno scellerato, ma il lungo e stentato esempio di un uomo privo di libertà, che, divenuto bestia di servigio, ricompensa colle sue fatiche quella società che ha offesa, che è il freno più forte contro i delitti. Quell’efficace, perché spessissimo ripetuto ritorno sopra di noi medesimi, io stesso sarò ridotto a così lunga e misera condizione se commetterò simili misfatti, è assai più possente che non l’idea della morte, che gli uomini veggon sempre in una oscura lontananza» -, che Beccaria rivela la sua autentica natura di uomo autoritario e statolatra. Non si può tentare di migliorare l’essere umano senza prima distruggere, annientare la superstizione statalista, ricorrendo a Tolstoj. Chi rimane confinato all’interno di essa è un complice, come tutti gli altri.

8. A tutti quei critici, o presunti tali, che in televisione o nei social networks – o in entrambi i media – mostrano tutto il loro sdegno (mi viene in mente un nome su tutti, quello di R. S., il martire che prostituisce Dostoevskij in programmi televisivi imbarazzanti, che andrebbero vietati per decreto regio e divino), dico: anche voi siete complici, perché in quel sistema che tanto criticate siete immersi fino al collo e ci sguazzate, ipocriti.

9. Il modello di intellettuale fornito da Gramsci, Pasolini e Vittorini ha fallito. In sostanza, non ha fatto altro che rendersi responsabile della distruzione culturale in atto in questo maledetto paese. Oggi non possiamo far altro che tornare ad Aristarco Scannabue, a Totò Merùmeni, esiliarci volontariamente dalla vita, non essere complici, e mantenere vivo il fuoco, per quanto ci è concesso, di un passato che rischia di andare distrutto. Me ne frego di ciò che accade fuori, io vivo di ciò che porto dentro, di ciò che conservo e preservo perché non vada per sempre perduto.

10. Scrivere e procreare sono la stessa cosa. Entrambe queste attività nascono infatti dalla sciocca esigenza, tutta umana, di perpetuare se stessi dopo la morte. Quando invece dissolversi nel Nulla, senza lasciare traccia del proprio passaggio su questa misera terra, è così bello, così… consolante.

11. Avrei bisogno di un po’ di quella benefica frivolezza che solo una relazione con una donna può dare. È l’unico rimedio che riesco ad immaginare. Non ho mai preteso l’Ideale, ma solo una donna capace di apprezzarmi per quello che sono, di amarmi per quello che sono. Non l’ho trovata, e ormai credo neppure esista.
A proposito di Ideale, ho finalmente trovato Elena, l’Elena che ha sempre immaginato: alta, lunghi capelli rossi, leggermente mossi. Potrei osservarla per ore, come un’opera d’arte, perfettamente soddisfatto della semplice ammirazione. Perché donne come Lei appagano completamente un uomo anche solo contemplandole. Avessi una sua foto… Il diavolo avrebbe gioco facile proponendola in cambio della mia anima. Ma cosa se ne farebbe il diavolo di un’animuccia modesta come la mia? Elena… la evoco e la vedo qui, davanti a me, in un fresco abito estivo, bianchissimo. Non oso neppure sfiorarla.

12. Non riuscire ad evadere, neppure per un’ora, da me stesso: è questo il mio più grande limite di scribacchino. Se non sono interessante per me, come posso esserlo per gli altri? Sono intrappolato in una fortezza inespugnabile.

13. Finalmente, finalmente nella Mirandolina protagonista della Locandiera di Goldoni ho trovato la realizzazione letterarie delle mie idee sul femminismo, troppo spesso malcelato egoismo il cui obiettivo è una maschilizzazione femminile nociva per questo mondo.

14. Anarchico dunque? No, nichilista e basta. Il nichilista rifiuta qualunque implicazione o soluzione politica, è l’impolitico per definizione. Seppure cova simpatie anarchiche – come il sottoscritto -, le rifiuta, perché consapevole, maledettamente consapevole della loro inattuabilità. Pensando al futuro, immaginando il futuro, il nichilista non vede che stragi. Egli vive con spaventoso anticipo la propria morte e la morte dell’intero genere umano. Per lui l’estinzione non è un mito, ma una realtà.

15. Da anni sogno di dare alla letteratura italiana quel romanzo dedicato al mito di Faust che non ha mai avuto. È diventato per me una sorta di ossessione. E pensare che questo romanzo l’ho persino scritto e inviato a numerose case editrici. Ma l’ho distrutto. Non ero affatto soddisfatto… Ora immagino un romanzo storico, ambientato nella Firenze medicea, con un Faust che – letterato maledetto, a metà strada tra un Cecco Angiolieri ed un Cecco d’Ascoli -, grazie all’assistenza di Satana, permette di sventare la congiura dei Pazzi, ottenendo così l’eterna gratitudine dell’illustre famiglia. Ma un’opera del genere richiede un impegno quotidiano che, ad oggi, mi è assolutamente impossibile sostenere.

16. Da buon misantropo, non posso proprio sopportare nessuna forma di umanitarismo. Lo trovo il trionfo dell’ipocrisia. Ogni uomo nasce naturalmente con un’indole malvagia, egoistica, e non fa mai niente per niente, gratuitamente. È sempre interessato, in un modo o nell’altro, al proprio tornaconto personale. Neppure l’amicizia è immune al calcolo. Neppure l’amore, nel quale l’individuo si accontenta, stipulando un compromesso con se stesso.

17. Il miglior padre è quello che non ha figli, il migliore scrittore quello che non ha mai versato una sola stilla d’inchiostro, il miglior pittore quello che non ha mai afferrato un pennello, e via di questo passo all’infinito. Il regno della relatività; un regno di Terrore… Solo ciò che non è, non è mai stato né mai sarà è davvero grande.

18. Con voluttà immagino un grandioso e spettacolare autodafé – il più grandioso e spettacolare degli autodafé -, in cui vengano sterminati tutti, ma proprio tutti i tiranni e i loro complici di questo nostro tempo vuoto. E non mi riferisco solamente ai politici e ai preti, no. Mi riferisco anche, e soprattutto, agli impresari che hanno dato vita ad un nuovo, e più crudele perché più raffinato, mercato degli schiavi. Penso ad esempio all’inventore e proprietario di un noto sito di e-commerce: costui è tra i primi che dovremmo eliminare nella speranza di migliorare questo povero mondo. Quando penso a simili criminali sento agitarsi qualcosa di veemente dentro di me, un fuoco violento difficile da contenere. Ma devo accontentarmi di distruggere questi illustri schiavisti nella mia testa. Non mi è concesso altro, non ci è concesso altro. Sono ormai indistruttibili le catene con le quali ci hanno intrappolato, riducendoci a meri contenitori vuoti, manichini meccanici, marionette senza cervello animate da necessità che in realtà non sono affatto tali. Dell’umana ragione impera oggi il lato oscuro e non possiamo opporci, ma solo asservirci, alienati e svuotati di quelle poche, pochissime virtù che la natura dona all’essere umano. Non resta che l’indifferenza e la solitudine, strumenti di una Resistenza bianca, e fondamentalmente inutile, ma pur sempre Resistenza.

19. Come ci si può stupire che anche Einstein, sbandierato quale supremo esempio di tolleranza e umanità, fosse razzista, nella fattispecie razzista nei confronti del popolo cinese? Non era forse un uomo? Ebbene, l’uomo non è naturalmente razzista? No? Avvenga che può? Ma non fatemi ridere. Basta raccontare stupide favolette. Come scrive Žižek: «Temi il prossimo tuo come te stesso». L’uomo nasce malvagio e nel corso della sua esistenza è agitato da impulsi distruttivi e autodistruttivi che non sempre, certo, si concretizzano in gesti clamorosi, ma basta una rispostaccia o un’occhiataccia a rivelare di colpo ciò che siamo veramente: creature votate al male e all’annientamento.

20. La televisione non è che un teatrino dove si esibiscono marionette vuote. E il grande problema – il grande divertimento e al tempo stesso il grande sdegno – è che queste marionette vuote si reputano personalità straordinarie, imponendosi come tali nell’immaginario collettivo di tutti quelli che le ammirano. Ma non sono appunto che marionette, manovrate con sapienza da chi, con loro, ci guadagna, si arricchisce.

21. Non sopporto questo dozzinale cosmopolitismo caratteristico dei nostri giorni. La facilità di viaggiare ha completamente svuotato di significato l’esperienza del viaggio, che deve – dovrebbe – essere un’esperienza formativa ed esistenziale.

22. L’aristocrazia non è uno status sociale, né mai lo è stata, ma un’attitudine.

23. La letteratura è la mia religione. Non credo in presunti iddii, né in patrie astratte. Credo nei libri, e nei loro autori.

24. Qual è il più grande insegnamento che si ricava dallo studio della storia? La scoperta che in ogni tempo e luogo l’uomo è sempre lo stesso. Sempre lo stesso essere disgustoso che non sa far altro che spargere distruzione e versare sangue. E la storia, la storia stessa, cos’è? Un gigantesco cumulo di macerie, una lunga sequela di disgrazie dalla quale dovremmo imparare molto, ma che ignoriamo e contribuiamo ad allungare. Perché la violenza è nel destino dell’uomo.

25. Gli umanitaristi peggiori sono quelli che si riempiono la bocca di belle parole nel caldo e al sicuro delle loro confortevoli abitazioni. Siffatti discorso, pur non comprendendoli, posso solo accettarli da chi si sporca le mani, da chi agisce, esponendosi in prima linea.

26. Forse odio tanto l’estate perché nei suoi paesaggi esteriori vedo riflessi i miei paesaggi interiori. Entrambi bruciati, entrambi privati del conforto della pioggia consolante e risanatrice. Nella campagna estiva, riarsa dal sole, aleggia un sinistro presagio di morte e di distruzione che spesso acquista consistenza materiale negli incendi. Ormai dentro di me non c’è più niente che possa prendere fuoco; tutto è cenere.

27. È vero, vivo sotto lo stesso tetto con mia madre, mio padre, mia sorella, ma in realtà mi trovo in una condizione di solitudine siderale, disperso in un deserto cosmico. Le mie grida d’aiuto le ho sempre lanciate solo a me stesso. Non sono mai state accolte.

28. L’enorme e disgustoso regno dell’Inquietudine mi avviluppa nella sua ragnatela indistruttibile, ed io mi sento soffocare. Vorrei liberarmi, vorrei strappare questi fili che m’impediscono di respirare e di muovermi, ma non ne ho la forza.

29. Mi distrugge l’impossibilità di fare ciò che vorrei fare. Spingermi oltre i miei limiti umani, avere tutto in un momento, in questo momento, e acquisirlo per sempre…

30. Perdere la ragione, sprofondare nella follia… questo sì che sarebbe un bel modo per passare il resto della vita, quel resto che ancora mi manca e che è decisamente troppo. Perché ho perduto per sempre l’innocenza dell’incoscienza, dell’ignoranza, e l’indifferenza, la divina indifferenza, e la rassegnazione sono vie ben più complesse di quanto immaginassi.

31. Alcuni giorni non sono altro che una sterminata processione di sospiri.

32.
– Se avessi la possibilità di parlare ad Elena, cosa le diresti?
– Non conosco il tuo nome, non conosco la tua età, non conosco la tua storia, ma ho avuto la fortuna di conoscere la tua bellezza, e questo solo mi basta. Perché Tu sei una di quelle poche, pochissime donne che appagano completamente un uomo anche solo contemplandole. Ed io, te lo giuro, da un paio di settimane a questa parte, ovvero dalla prima volta che mi sei apparsa come per miracolo, esco solamente nella speranza di incontrarti, e di poterti ammirare almeno per un’ora. La tua bellezza straordinaria, ineffabile, ideale ha l’incredibile potere di riconciliarmi con me stesso e con il mondo intero, davvero.
– E come credi che reagirebbe a queste tue parole così altisonanti?
– Credo che mi scoppierebbe a ridere in faccia.
– Bravo. L’importante è che tu ne sia consapevole.

33. Sono solo. In questo tempo dominato dall’Ignoranza, dalla Minorità, dalla Grande Stupidità, come Werther e Ortis, sono solo. E anche a me non resta che la via del «nulla eterno». Non è semplice emulazione la mia, ma consonanza di spiriti solitari, partoriti dal Caos solamente perché a qualcuno sia fatto carico di una croce che non può bruciare.

34. A volte ho la sensazione vivida che non manchi molto. Accade quando sento dentro di me, per un breve momento, una scintilla di quella forza, di quel coraggio e di quella noncuranza necessarie a spezzare le catene che mi tengono legato a questa vita.

35. La famiglia… una delle più grandi menzogne umane. Se un individuo non è dotato di quella sensibilità necessaria per crescere un figlio, per riscattare la colpa di cui si è macchiato procreando, meglio che lo abbandoni neonato, senza angustiarlo in seguito e creare conflitti tanto violenti quanto inutili.

36. Mi chiedo che bisogno ci sia di esplorare in lungo e in largo questo povero pianeta, spingendosi fin nello spazio, a distanze siderali, quando per conoscere l’uomo – il solo sapere che conta – basta restarsene seduti in una stanza e indagare se stessi, guidati dai libri. Cosa ci guadagna un individuo sapendo come è fatto l’universo, conoscendo le sue – o piuttosto nostre – leggi fisiche e matematiche? Assolutamente niente. Ciò che conta davvero, ciò che tutti noi dovremmo sapere, lo portiamo dentro noi stessi.

37. Ovunque fuori posto, ovunque Straniero. Una condanna e un orgoglio.

38. Se dovessi scegliere un libro che mi rappresenti meglio di ogni altro, non avrei esitazioni: le Memorie dal sottosuolo di Dostoevskij, il libro che avrei voluto – dovuto – scrivere e che mi ritrae dalla testa ai piedi, dentro e fuori.

39. Ed io chiudo il secolare corteo funebre che ha accompagnato il feretro di Werther – e della parte oscura di Goethe – alla tomba.

40. Una magra consolazione, ma pur sempre una consolazione: due ore di pioggia inattesa. E anch’io, come la terra bruciata, distrutta dal sole, torno a respirare. Almeno per qualche momento. Perché non so godere appieno di ciò che accade ora, nel presente; la mia mente si getta subito sul dopo, e vedo in anticipo tutto quanto di negativo accadrà nell’immediato futuro, inevitabilmente. Fuori piove ed io penso all’afa che tornerà a dominare domani, o, se non proprio domani, certamente dopodomani.

41. Adolescente, mi consideravo terzo tra Werther e Ortis. Ora, alla soglia dei trent’anni, torno ad accostarmi a loro, non più con il cuore in tumulto, con il desiderio di imprese grandiose, ma con un pezzo di carne bruciata, carbonizzata e la voglia di sparire per sempre.

42. Se potessi dedicare un anno, un intero anno della mia stupida vita alla visita dei sepolcri dei più grandi scrittori di sempre…

43. Condivido gran parte della giornata con mia madre. Nessuna persona al mondo mi conosce bene come lei, ovvio, e da un solo sguardo sa cogliere il mio umore, il mio stato d’animo. Ma non sa cosa porto effettivamente dentro. A pensarci bene, non c’è niente da sapere, perché dentro porto il Nulla. Se a questo Nulla riuscissi a cucire addosso una veste letteraria riterrei la mia missione compiuta. Ma credo sia impossibile, o quasi. Ci sto provando però, con un romanzo che, per ora, devo limitarmi a scrivere solo mentalmente, perché troppo impegnato nello studio e nella scrittura critica. In realtà mentalmente è bell’e concluso, salvo qualche modesto punto interrogativo. Ma tra cervello e mano destra esiste un tragitto tortuoso e infido, caratterizzato da ostacoli di una crudeltà sopraffina.

44. Otto ore di sonno, sedici ore di vita. Otto ore di morte, sedici ore di agonia. E così tutti i sacrosanti giorni.

45. Questa notte ho sognato Irene. Non ricordo il sogno, la situazione onirica, ma ricordo il suo sorriso abbacinante. Le sarò eternamente grato per avermi accompagnato nella mia prima, e finora unica, visita al Verano, nel mio pellegrinaggio alla tomba di Ungaretti. Peccato che la nostra intenzione di visitare la cripta ossario dei Cappuccini non si sia concretizzata. Lì le avrei confessato il mio amore; lì avremmo scritto pagine sanguinose da romanzo ottocentesco. Ma forse è meglio che sia andata così, perché la realtà non sarebbe stata all’altezza della fantasia. La realtà non è mai all’altezza della fantasia.

46. Contro questo mio tempo maledetto sono in guerra. Contro le sue false democrazie, o meglio, i suoi regimi democratici, suprema e sopraffina espressione della tirannide – la più perfetta evoluzione della tirannide, perché legittimata dai cittadini, consapevolmente e volutamente complici – sono in guerra. Contro la sua società dominata dall’interesse e dalla stupidità sono in guerra. Ed è segnato il mio destino di sconfitto, di inutile sconfitto.

47. Chi cerca il consenso professandosi anti-sistema, ma ricorrendo a questo stesso sistema, dimostra di farne parte e di esserne complice nonostante le chiacchiere. Un ingranaggio, come tutti gli altri. Il silenzio e l’esilio sono le due uniche forme pure e autentiche di dissenso. Tutto il resto è vanità e conformismo, e non c’è peggiore conformismo di quello travestito da anti-conformismo. Scrivendo queste parole ho in mente nomi e cognomi, che non faccio per non insozzare questo quaderno, e me stesso.

48. Jacopo Ortis dovrebbe essere il faro dei giovani italiani, come Werther il faro dei giovani tedeschi e Raskol’nikov il faro dei giovani russi.

49. Come si può parlare di integrazione – una delle sciocchezze più goffe e ridicole partorite dall’umanitarismo – nel nostro paese, dove un italiano è considerato straniero non dico al di fuori della sua regione, ma della sua provincia e talvolta persino della sua città? Prendersi in giro non aiuta, meglio una verità maleducata.

50. Come Jacopo Ortis, la «carità di figlio» – soprattutto – e la sciocca brama di gloria – meno, decisamente – sono le due catene che mi tengono ancora, obtorto collo, legato a questa vita. Ma non potrebbe trattarsi solamente di maschere con le quali celare il vero volto che sta dietro la mia forzata sopravvivenza, ovvero la paura? Mi piace pensare che si tratti invece di una superiore manifestazione di indifferenza, e ricordo il Plotino leopardiano: «E la vita è cosa di tanto piccolo rilievo, che l’uomo, in quanto a se, non dovrebbe esser molto sollecito né di ritenerla né di lasciarla».

51. Dai miei miti letterari giovanili, diciamo pure adolescenziali – Werther, Jacopo Ortis, l’io lirico dei Fiori del Male, il sognatore protagonista delle Notti bianche e l’uomo-topo protagonista delle Memorie dal sottosuolo -, ho acquisito mio malgrado quella malsana predisposizione all’esasperazione che tante, troppe volte mi ha messo in ridicolo, soprattutto al cospetto del genere femminile. Ma frutto dell’esasperazione è anche il fiero radicalismo che di questo tempo maledetto mi ha permesso di vedere tutto il marcio.

52. Ogni minima azione umana è dominata dall’egoismo. Il disinteresse non è che una maschera, un’apparenza. L’uomo agisce sempre solo ed esclusivamente per se stesso, per il proprio tornaconto personale, la maggior parte delle volte materiale, altre invece immateriale (per saziare la brama di vanagloria o di egocentrismo). Avviene anche nei sentimenti, e prendiamo per esempio l’amore, che rappresenta forse il caso più eclatante. L’uomo che ama, o anche solo crede di amare, non anela mai al bene della persona amata, ma solo al bene di se stesso. I lei, lei, lei che martellano incessantemente il cervello dell’uomo innamorato celano in realtà dietro di essi altrettanti io, io, io. E la tragica ironia è che tutto ciò accade inconsciamente.

53. Sto pensando seriamente di raccogliere le mie riflessioni sul presente in un articolo intitolato: Le considerazioni di uno straniero. Semmai dovessi scrivere davvero questo contributo – e talvolta lo sento come un obbligo morale -, lo farei con la convinzione del suicida che, prima di togliersi la vita, spiega ai cari le ragioni del proprio gesto.

54. Nessun gesto di un figlio nei confronti dei genitori eguaglierà mai la crudeltà del proprio concepimento. Perché, ricollegandomi al pensiero precedente, la procreazione è l’atto egoistico per eccellenza. Prima di mettere al mondo un figlio ci si dovrebbe domandare: ma siamo proprio sicuri che questa creatura voglia vivere? E nel rispondere si dovrebbe avere la forza e il coraggio di mettere da parte se stessi del tutto, esaminando innanzitutto se queste siano le condizioni adatte nelle quali gettare una nuova vita. Ma da secoli ormai non esistono nel mondo le condizioni adatte, anzi, probabilmente non sono mai esistite. Tutto è perduto.

55. In cambio di un inutile e sciocco benessere – solo apparente, è chiaro, perché all’interno dell’uomo è sempre una guerra, anche nelle condizioni di vita ideali – abbiamo svenduto quel poco di buono che ci è toccato in sorte.

56. Ieri il temporale, la pioggia benefica ed una frescura risanatrice, oggi di nuovo l’afa e l’incessante canto funebre delle cicale. E il pensiero di oggi non mi ha permesso di godere ieri. Accade sempre così, l’attimo benefico frustrato dalla certezza delle angosce dell’attimo successivo.

57. E quando lo sdegno si assopisce, ci si rende conto che in fondo siamo tutti – tutti – dei poveri disgraziati.

58. Per quanto riguarda le ipotetiche Considerazioni di uno straniero, potrei collocare in epigrafe questa meravigliosa terzina foscoliana: «Figlio infelice e disperato amante, / e senza patria, a tutti aspro e a se stesso, / giovine d’anni e rugoso in sembiante».
Apparato bibliografico: Petrarca, Boccaccio (la novella di Cavalcanti), Foscolo, Leopardi, Baudelaire, Dostoevskij, Tolstoj (Guerra e rivoluzione), Stirner, Mann, Michelstaedter…
Potrei iniziare con la fantasia che più sollecita la mia immaginazione in questo ultimo periodo: veder bruciare tutto, uomini e cose, indistintamente.

59. Ieri sera ho avuto una discussione importantissima con Marco, un mio caro amico. Il nichilista a confronto con l’uomo della strada portatore di Vita. Non ho fatto altro che ripetere quanto scritto finora in questo quaderno. Non voglio una famiglia per non deludere e far soffrire nessun altro oltre me stesso. Non voglio un figlio perché non posso sapere se lui voglia vivere oppure no e perché credo che queste non siano le condizioni adatte nelle quali gettare una nuova vita. Niente per me ha senso, veniamo dal Nulla e al Nulla torneremo, e se sopravvivo è solo perché due lacci – i miei genitori – mi tengono legato a questa vita: se fossi orfano sarei già morto. Marco, che invece rinascerebbe per vivere nuovamente la propria vita (che non è stata affatto facile, segnata nell’infanzia dalla morte del padre), che vuole creare una famiglia e mettere al mondo dei figli (è questo il suo obiettivo dichiarato, il mio raggiungere un livello tale di Rassegnazione, dunque di Indifferenza, in cui non ci sia più alcuna differenza tra vivere, o meglio sopravvivere, e morire, come dichiara Plotino a Porfirio), ribatteva con apprezzabilissima convinzione a tutte le mie parole: il suicidio non è che una manifestazione di viltà; sei stato fortunato, hai tutto, e pensando questo insulti quella parte di umanità che non gode della tua stessa fortuna (gli ho risposto che dell’umanità non me ne frega un cazzo); tu non sei questo, ma il ragazzo che a diciotto anni «mordeva» la vita, la letteratura e la filosofia ti hanno rovinato; se trovassi una donna rimetteresti tutto in discussione, ma questo tuo atteggiamento ti impedisce di trovare una donna.
Provo una grande invidia nei suoi confronti.

60. In una relazione con una donna mi spaventerebbe moltissimo sapere che lei, in fondo, è legata ad un altro uomo, con il quale, per un motivo o per l’altro, non è riuscita a legarsi, ma il cui ricordo e il cui sentimento resteranno per sempre fortissimi, più forti dell’amore che pure potrebbe provare per me.
In amore c’è sempre, sempre uno sconfitto. A me è toccata sempre questa parte, ma se la sconfitta fosse lei ed io un semplice ripiego? Questo pensiero mi consumerebbe.

61. Non è vero che non c’è tempo: è che non tutti sanno utilizzarlo appieno, come si deve se si vuole ottenere qualcosa. Bisogna essere forti, ed io forte non lo sono mai stato.

62. Ad una sola donna ho confessato i miei propositi suicidi: Alice, mia compagna d’università nel primo anno di Lettere, e insieme con Irene e la Professoressa M. una delle creature femminili più preziose che abbia conosciuto. Insomma, ad Alice mi univa il culto della Letteratura, ma ciò che più mi colpì nel nostro rapporto fu il fatto che lei pensasse a me anche quando da me era lontana. Oltre all’episodio del Mio credo di Hesse, ricordo ancora oggi con enorme soddisfazione il messaggio che mi inviò l’estate del primo anno d’università, nel quale citava, legandole alla mia esperienza, le terzine del sonetto di Foscolo Io non son chi fui: «Che se pur sorge di morir consiglio, / A mia fiera ragion chiudon le porte / Furor di gloria e carità di figlio. / Tal di me schiavo, e d’altri, e della sorte, / Conosco il meglio ed al peggior mi appiglio, / E so invocare, e non darmi la morte». Ricevetti questo messaggio di sera, mentre con gli amici ero a vedere una partita del Nettuno Baseball, ed è assolutamente impossibile riportare qui e ora quel sentimento di gioia che m’invase e mi agitò tutto, dalla testa ai piedi, come un’iniezione di adrenalina. Ad Alice non ho mai confessato il mio amore, curioso, ma forse proprio alle persone che più si amano non si rivela il sentimento che proviamo per loro. Perché? Perché un rifiuto ci annienterebbe.

63. In ogni uomo sono presenti inquietanti zone d’ombre di cui solamente uno stupido può stupirsi venendone a conoscenza.

64. Il sole può spaccare le pietre, bruciare la terra e prosciugare laghi e fiumi, ma invincibile è la coltre di tenebre che mi avvolge e mi accompagna in questo Calvario la cui fine verrà sempre e comunque con colpevole ritardo.

65. Ogni uomo è colpevole. Innanzitutto nei confronti di se stesso.

66. Potrebbe, e sottolineo con forza il condizionale, potrebbe essere interessante scrivere un romanzo picaresco sul modello del Candide di Voltaire, come questo conciso e mirabolante. In pochi minuti ho messo insieme il quadro generale: un giovane sta per togliersi la vita, ma lo dissuade un suo vecchio e caro amico d’infanzia, un prete scomunicato per la sua ardente e incontrollabile passione per il genere femminile, che lo convince a non uccidersi e a intraprendere un viaggio per il mondo, nel quale l’ex prete è certo che l’amico comprenderà, troverà finalmente la bellezza della vita. Nel corso della loro erranza i due compari incontreranno personaggi straordinari, e penso a un Faust mago e alla sua bellissima assistente, Elena, troveranno lavoro in una compagnia teatrale e poi in un circo, ecc. Sarebbe bene inserire elementi da Romanticismo nero, alla Potocki, magari in un contesto post apocalittico, in un futuro indeterminato. Una scrittura e una lettura in cui i temi più delicati vengano affrontati con apparente leggerezza insomma.

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