Spazzatura. I rifiuti cerebrali di un uomo (suo malgrado) – Aprile

1. Mestizia è sempre qui accanto a me, fedelissima, con il suo corpo eburneo, ma al limite dell’anoressia – non è certo il ritratto della salute, e non potrebbe essere altrimenti -, con i suoi lunghi capelli neri, raccolti sulla nuca, della consistenza del fildiferro, con il suo volto scavato, nel mezzo del quale svetta il naso, con il suo sguardo umbratile, con il suo silenzio ostinato, per il quale le sono così grato. Di tutt’altra fatta è Morte, procace e sensuale. Affascinano le sue curve da Bonadea, mostrate con protervia, affascina il suo riso squillante. Intravedo una terza figura, il Caso, un giovane alto e magro, distinto, educato, anch’egli taciturno, ma dagli occhi implacabili. Immagino, chissà perché, un Capodanno in loro compagnia.

2. Una piccola e sciocca concessione sentimentale. Ho provato – sto provando – sulla mia pelle che l’amore non è per tutti. Esistono esseri destinati a restare soli, a vedere inesausto il proprio desiderio d’amore (penso a Kleist e a Leopardi). Ma voglio concedermi un’ultima, fragile illusione: Lei esiste. Non so dov’è, non conosco il suo nome né la sua figura, ma so che esiste. Probabilmente non la incontrerò mai, ma non importa. Ciò che importa è la consapevolezza della sua esistenza.

3. Il mio è un equilibrio fragilissimo. Basta un niente per mandarlo in frantumi, un banale colpo di vento. Poi per ricostruirlo ci vuole uno sforzo enorme, perché fragilità non fa mai rima con facilità.

4. Ci sono giorni più bui del consueto in cui il compromesso della sopravvivenza pesa oltremodo. Allora il desiderio di sparire, di svanire per sempre nel Nulla è così forte da oscurare, annichilire ogni cosa. Ma l’impossibilità, l’incapacità di tradurre questo desiderio in realtà di cui sono vittima da sempre, mi costringe a trascinarmi avanti, con passo affaticato, strascicato, come se portassi ai piedi i ferri del prigioniero. Mi è impossibile in questi giorni distendere la fronte aggrottata; sono incapace di sorridere e persino di ridere di me stesso. Procedo per inerzia, il fiato corto, le membra appesantite.

5. Neppure il conforto dell’utopia mi è concesso, sul quale poterono contare persino gli oltre-filosofi. Non ho niente, non posso appoggiarmi su niente, e tanto meno sul niente. Ho distrutto tutto e ovunque non resta che cenere.

6. Per rendersi conto dell’umana miseria non serve neppure uscire fuori dalla propria camera. Basta esaminare se stessi. Esaminate voi stessi, fate questo sforzo e vi accorgerete di quanto sia immotivata e sciocca la fiducia nel genere umano. Perché ogni uomo è uguale, non esistono eccezioni. In ogni tempo e luogo l’uomo è sempre e comunque il peggiore essere vivente.

7. «Per rispetto alla bontà e all’amore l’uomo ha l’obbligo di non concedere alla morte il dominio sui propri pensieri». È questa l’idillica conclusione alla quale giunge Castorp dopo la sua mistica gita sulla montagna incantata – conclusione distrutta dalla Storia, che fagocita il pupillo della vita -. Io, che non ho mai creduto nella bontà e nell’amore (homo homini lupus), e dunque non posso portare loro rispetto, ho sempre fatto l’esatto contrario: ho concesso alla morte il dominio sui miei pensieri. E non è stata una scelta – non sono cose che si scelgono queste, sarebbe troppo facile -, quanto piuttosto un processo naturale. Da anni e anni, da quando ne avevo sedici, io vivo la mia morte. La dissoluzione fisica, organica non sarà altro che una pura formalità. Perché da un pezzo sono un vivo-morto, o morto-vivo, fate voi.

8. Ogniqualvolta metto piede fuori di casa e incrocio una bella donna, vivo quell’amore all’ultimo sguardo – come lo chiama quel genio sfortunato di Benjamin – descritto da Baudelaire nel sonetto A una passante. Ogniqualvolta, sul serio. E me ne torno a casa mesto, avvilito, nella triste consapevolezza che a me non è concesso amare.

9. La scienza non ha voluto sconfiggere la religione, ha solo voluto prenderne il posto. Alle superstizioni religiose ha sostituito le sue di superstizioni, non meno nocive, non meno dannose. E volendo ottenere essa stessa il potere, al potere si è genuflessa, volgarmente, assecondandone le brame distruttive. Al mondo la maggior parte degli scienziati fanno male come la maggior parte dei preti.

10. Neppure la lettura è per me un’attività rasserenante, conciliante. Leggo, che so, una poesia di Baudelaire, e provo un’invidia profonda, lancinante, dovuta alla consapevolezza che non raggiungerò mai tali livelli. Non sono mai stato all’altezza delle mie ambizioni, e forse è stato soprattutto questo ad esaurirmi così precocemente. Di tutto ciò che ho desiderato con ardore non sono riuscito a ottenere niente. Ma non voglio che qualcuno possa pensare che queste mie parole siano sintomo di autocommiserazione. Nei confronti di me stesso non provo e non ho mai provato pietà – salvo rarissime occasioni, in cui peraltro mi sono visto morto e ho pensato in fondo solo a chi restava -, ma disprezzo.
Eppure, ripenso a tutto ciò che ho creato e non posso credere che non ci sia proprio niente di buono. Certo, mi contraddico: sostengo da sempre la morte della letteratura italiana e pretendo di fare letteratura. Non sono certo un profeta. E allora, forse, tutto questo va al di là delle mie deboli forze. Forse non è davvero possibile fare letteratura oggi. Forse mai più in questo maledetto Belpaese che mi è toccato in sorte.

11. Qualche sera fa mi è stato posto da un amico il seguente quesito: – Se il diavolo ti proponesse una settimana di sesso con Michela (un pregevolissimo esemplare femminile, di una bellezza superiore) ponendo come unica condizione la morte al termine del settimo giorno, tu cosa faresti, accetteresti?
Ho risposto di sì. Raccontando poi l’episodio ad un paio di amiche, l’ho suggellato con queste parole: – Ma ho accettato più per il desiderio di morire che di fare sesso con Michela.
Loro hanno riso. Io non sono mai stato così serio.

12. Non se ne esce, l’umana insoddisfazione è invincibile. Come scrive Guicciardini nel pensiero numero XV – la testimonianza di un uomo così fortunato, così realizzato assume una validità pressoché assoluta -, dopo la realizzazione di un desiderio non proviamo mai quella soddisfazione piena che ci eravamo immaginati. Resta sempre dell’amaro in bocca. Ciò dovrebbe convincerci della vanità delle nostre brame, che pure non smettiamo di rincorrere, forsennatamente, rischiando ad ogni passo di rimetterci l’osso del collo. A questa nostra assurda, insensata, autolesionista ostinazione non c’è altra spiegazione che la contraddizione. L’uomo è la creatura contraddittoria per eccellenza. Penso a Pigmalione e alla sua delusione dopo la trasformazione di Galatea.

13. A che bene, dimmi, a che bene se siamo certi che un giorno, forse neanche troppo lontano, tutto questo avrà fine, tutto ciò che abbiamo creato e per cui ci siamo sacrificati verrà distrutto? Non può esserci risposta a questa domanda, e questa impossibilità, proprio questa impossibilità la rende così spaventosa. Aver creato il più grande capolavoro – artistico, letterario, musicale, ecc. – della storia o non aver creato niente non cambia niente. Perché la distruzione pareggerà i conti e non esisteranno più differenze tra il genio e l’incapace: la democrazia del Nulla.

14. Quando la delusione muta in rassegnazione: è a questo punto che un uomo inizia a morire.

15. La vita non mi ha arrecato che piccole offese, insignificanti al cospetto dei grandi drammi di cui sono vittime gran parte degli uomini. La mia triste figura non nasconde tragedie – se non la suprema tragedia della nascita, ma questo è un altro discorso -, eppure ogni notte, mentre attendo il sonno, prego il Caso di chiudermi gli occhi per sempre, di liberarmi senza il ricorso alla violenza da questo fastidioso compromesso che è la sopravvivenza. E ciò è dovuto alla stramaledetta consapevolezza dell’insensatezza della vita, del dominio del Nulla, il più temibile e dannoso affetto collaterale dello studio letterario e filosofico, umanistico insomma. A me questo effetto collaterale ha aggredito con inaudita efferatezza. E in fondo mi sento in colpa nei confronti di tutti quegli esseri umani che avrebbero un motivo ben più valido per desiderare la fine. Ma tanto, i grandi drammi finiscono sempre per causare una incomprensibile ostinazione alla vita, salvo rarissime eccezioni.

16. È tornato… È tornato il dominio della Grande Stupidità di cui parla Mann nella Montagna incantata. Ed è tornato nella sua forma più sopraffina, più tecnologicamente evoluta. La prima era della Grande Stupidità condusse l’umanità a due catastrofi mondiali, questa seconda ci condurrà dritti all’estinzione? Osservate i clauneschi e ignoranti politicanti che decidono i nostri destini… specchi della sciocca società che governano. Mi viene il voltastomaco pensando a questa maledetta epoca in cui mi ha scaraventato il Caso. Ci sarebbe materiale sufficiente per scrivere un grande saggio, uno di quei saggi che fanno epoca, ma non possiedo quello slancio combattivo, di resistenza, proprio di un Leopardi, necessario ad una simile impresa. Oramai ho tirato i remi in barca, mi lascio trasportare dalla corrente, ravvoltolato in me stesso, gettando solo di tanto in tanto uno sguardo fuori, a ciò che mi circonda.

17. Penso alle tante lodi alla primavera. Per me la primavera non è altro che il preludio alla più volgare delle stagioni. L’estate non è che una vecchia puttana sfatta, del tutto priva di dignità. Una vecchia puttana gonfia di sperma, come direbbe Campana, che svende senza il minimo ritegno il proprio corpo deformato, flaccido, già in qualche punto putrido, e durante il rapporto geme grossolanamente, nel disperato tentativo di simulare un piacere perduto da tempo immemore.

18. Da mesi ho il vago presentimento di una catastrofe imminente. Una catastrofe senza precedenti, di proporzioni bibliche, che ridurrà il genere umano sensibilmente, se non addirittura facendolo scomparire del tutto. E non escludo affatto che possa trattarsi di una catastrofe naturale (immagino il cielo spaccarsi, la terra slabbrarsi e inghiottirci, tutti), dopo la quale l’universo tornerà finalmente a respirare a pieni polmoni. Ma forse è solo un macabro desiderio. Del resto il nichilista passeggia incurante tra le fiamme e le macerie – come passeggio io per la Storia -, provando al massimo un sottilissimo piacere che piega le labbra in un sorriso appena accennato e inconsapevole.

19. Gran parte del destino del genere umano è nelle mani della donna. La donna è la coscienza del mondo. E mi duole constatare come il sacrosanto processo di emancipazione si sia trasformato nel corso del tempo in un grossolano e dannoso – soprattutto dannoso – processo di maschilizzazione. La donna deve mantenere intatto il proprio rapporto diretto con la terra. Un rapporto primordiale, sanguigno, che noi uomini, così inclini alla metafisica, non conosciamo e non possiamo conoscere.

20. L’estate, il regno delle mosche… Come se il mondo intero fosse una carogna.

21. Questi mesi di solitudine, di esilio dalla vita, seguenti alla conclusione del percorso universitario e dedicati alla preparazione della prova d’ammissione al dottorato di Italianistica – sette mesi gravi come sette anni -, non hanno fatto altro che inasprire la mia intolleranza nei confronti di questo mondo dominato dalla Grande Stupidità. Solamente tra la folla riesco a provare quel benefico sentimento di inettitudine che mi rende perfettamente innocuo a me stesso e agli altri.

22. In alcuni momenti, tristemente frequenti, la mia vita ha il concentrato d’inquietudine proprio dell’incubo.

23. La vita, non la morte, ci divora, ci trangugia nelle sue enormi, schifose fauci appiccicaticce di sangue rappreso e viscida bava. Siamo carne da macello. E solo la morte è libertà!

24. Non ho molti dubbi sul fatto che se Michelstaedter fosse sopravvissuto ancora qualche anno, si sarebbe gettato con entusiasmo sul campo di battaglia, sacrificando il proprio vigore in nome della patria ideale, rincorrendo la bella morte.

25. Le pagine conclusive della Montagna incantata di Mann – quelle in cui il narratore ci mostra Castorp sul campo di battaglia – sono tra le più belle e commoventi dell’intera storia della letteratura mondiale. E la Storia di fatto cancella le quasi settecento pagine precedenti. Né Occidente né Oriente, ma solo la pianura e la guerra. Scompaiono Settembrini e Clavdia; resta l’orrore, la mattanza, la vita nel suo aspetto più terribile, più umano, ahinoi, e la morte, in fondo, come unica speranza. In quel maledetto fango siamo intrappolati tutti, chi fino alle caviglie, chi fino alle ginocchia e chi invece fin sopra la testa. Tutti, nessuno escluso, qualunque sia la nostra epoca, qualunque sia il luogo in cui ci ha scaraventati il Caso.

26. È triste sapere che un uomo chiuso nella sua stanza, dotato di tutti i comfort, senza un pericolo reale vicino a sé, possa soffrire come e persino più dell’uomo impantanato in un fangoso campo di battaglia, sfiorato di continuo da proiettili e granate. Ciò dimostra quanto la vita sia brutale, feroce, sempre, indistintamente.

27. Mi guardo allo specchio e vedo riflessa la faccia di un uomo finito, o forse neppure mai iniziato. Non sono il solo. Queste stesse facce le vedo attorno a me. Siamo fallimenti ambulanti. Non ho la superbia e l’arroganza di considerarmi un caso eccezionale. E generalizzando non intendo affatto scusarmi.

28. Scrive Musil nell’Uomo senza qualità a proposito di Agathe: «In realtà tutto questo significava soltanto che lei aveva perso di nuovo il senso della vita e si era posta intenzionalmente in una condizione non adatta alla sua età, poiché solo i vecchi vivono così, aggrappati alle esperienze e ai successi del passato senza alcun rapporto col presente». Ecco, da non so più quanto tempo, è anche il mio caso.

29. In questo tempo di sopravvivenza imposta che mi resta, una cosa posso ancora farla: coltivare l’Indifferenza. Distese e distese d’indifferenza, a perdita d’occhio, che mi rendano immune a questa vita malata e a questo mondo disgustoso, vomitevole, con il quale non voglio avere niente a che fare, se non il minimo indispensabile. In questo senso, sto imparando a poco a poco a scrivere senza alcun obiettivo, ma soprattutto senza alcun interesse. Ogni giorno sferro un colpo alla mia ambizione, già agonizzante, e che pure in passato mi ha fatto passare le pene dell’inferno. La mia sta diventando una scrittura che trova soddisfazione solo ed esclusivamente in se stessa.

30. Io sono approdato altrove, in un altrove dal quale non si può tornare indietro. Io sto vivendo ora, qui e ora, la mia morte, l’esperienza di quel Nulla cosmico, inimmaginabile, che ci attende dopo la fine e dal quale siamo fuoriusciti casualmente, senza che nessuno ce lo abbia chiesto.

31. Se esco il sabato sera è solo per godere della distanza che mi separa dal gregge.

32. Non un solo istante di felicità merita un’intera vita di angosce ed inquietudini.

Precedente Spazzatura. I rifiuti cerebrali di un uomo (suo malgrado) - Marzo Successivo Spazzatura. I rifiuti cerebrali di un uomo (suo malgrado) - Maggio